Piscina: dispositivo per intrappolare il dolore e consumarlo fino a disfarsene. Mondo estendibile fino al bordo. Frontiera labile in superficie. È un sistema che richiede sacrificio ma concede molto in termini di riconoscenza. Conserva i sentimenti o ne amplia la portata (chiedere a Federica Pellegrini). Fondamentale il tessuto che si usa per avvolgere il proprio corpo prima di immergersi. Spesso, è capace di annullare gli handicap, creando una tasca di spazio alternativo. I praticanti abbandonandosi all’acqua e al contenitore, all’indietro, muovendo o meno le braccia, si sentono liberi. Arte o tecnica che si pratica in piscina, viene definita nuoto, verbo nuotare, o consumatempo, in alcuni stati dell’Asia anche: mangiagiorni. La combinazione acqua/corpi/tempo viene definita gara, ma è solo un modo per nascondersi all’oscurità della vita, prima di gettarsi in acqua. Il gesto di lasciarsi cadere in acqua, viene detto: tuffo, verbo tuffare, ma è solo un ritrovare la fede in se stessi. Molti nell’uscita dal contenitore lamentano una nostalgia lunare, riscontrata, appunto, negli astronauti che hanno toccato il suolo lunare. Sono allo studio le similitudini. Come il contrasto sonno/acqua. L’incompatibilità viene detta scommessa di Marcus, dallo studioso che si è occupato del riempimento dei polmoni d’acqua. Il suono delle piscine, dallo studio di Thompson, è detto anche canto delle sirene o canzone del flusso. Per il fondo – invece –: bianco, azzurro o sfumato grigio si parla di riproduzione del cielo, ma senza rotte né ancora nessuna legislazione se non poche regole sul tocco dei corpi. Ma queste, dette, Osservazioni di Ben, sono ancora in discussione, fra noi registratori di sistemi ad aria zero.