Archivio mensile:luglio 2011

Osservazioni di Ben

Piscina: dispositivo per intrappolare il dolore e consumarlo fino a disfarsene. Mondo estendibile fino al bordo. Frontiera labile in superficie. È un sistema che richiede sacrificio ma concede molto in termini di riconoscenza. Conserva i sentimenti o ne amplia la portata (chiedere a Federica Pellegrini). Fondamentale il tessuto che si usa per avvolgere il proprio corpo prima di immergersi. Spesso, è capace di annullare gli handicap, creando una tasca di spazio alternativo. I praticanti abbandonandosi all’acqua e al contenitore, all’indietro, muovendo o meno le braccia, si sentono liberi. Arte o tecnica che si pratica in piscina, viene definita nuoto, verbo nuotare, o consumatempo, in alcuni stati dell’Asia anche: mangiagiorni. La combinazione acqua/corpi/tempo viene definita gara, ma è solo un modo per nascondersi all’oscurità della vita, prima di gettarsi in acqua. Il gesto di lasciarsi cadere in acqua, viene detto: tuffo, verbo tuffare, ma è solo un ritrovare la fede in se stessi. Molti nell’uscita dal contenitore lamentano una nostalgia lunare, riscontrata, appunto, negli astronauti che hanno toccato il suolo lunare. Sono allo studio le similitudini. Come il contrasto sonno/acqua. L’incompatibilità viene detta scommessa di Marcus, dallo studioso che si è occupato del riempimento dei polmoni d’acqua. Il suono delle piscine, dallo studio di Thompson, è detto anche canto delle sirene o canzone del flusso. Per il fondo – invece –: bianco, azzurro o sfumato grigio si parla di riproduzione del cielo, ma senza rotte né ancora nessuna legislazione se non poche regole sul tocco dei corpi. Ma queste, dette, Osservazioni di Ben, sono ancora in discussione, fra noi registratori di sistemi ad aria zero.  

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Here comes the pain

“Il Presidente del consiglio Silvio Berlusconi questa mattina, a Milano, è stato colpito da un attentatore, pare di origine algerina, identificato come Nim, non sappiamo ancora se questo è il suo nome vero o il suo nome in codice, le condizioni del premier sono apparse subito gravi. Raggiunto da due colpi: uno all’addome, l’altro al viso. È stato subito elitrasportato all’ospedale San Raffaele di Milano. Berlusconi si era fermato come di consueto a salutare la gente che lo acclamava numerosa, prima di intervenire in un convegno voluto da Don Verzé, sull’ urgenza di una nuova morale”. La voce di Ernesto Paolozzi, inviato del Tg1, era davvero percorsa da paura ed emozione, aveva assistito all’attentato, aveva visto tramortire l’algerino e soprattutto aveva visto cadere il Presidente, sanguinante e addormentato. “Se un uomo così perde coscienza, il paese è smarrito”, ecco questa era la frase da dire, al prossimo collegamento. Gli hanno chiesto di rimanere sul luogo dell’attentato con l’operatore, e lui ha dalla sua il tettuccio dell’auto schizzato di sangue, ma non sa se annunciare al direttore di avere quelle immagini, o tenerle per il dopo. Trema, Paolozzi, e anche l’operatore, Ernesto Rossi, bianco in viso, fuma voracemente. Lui, in un attimo di adrenalina, gli ha detto: “siamo nella storia”. Ma quello ha alzato le spalle. E allora Paolozzi si è messo a scrivere, non vuole perdere dettagli. Sa che lo shock cancella parti intere di ricordi, e allora scrive freneticamente, e poi salta in piedi, si aggiusta il nodo della cravatta e il bavero della giacca di lino, ogni volta che chiamano il collegamento da studio, praticamente ogni cinque – sette minuti. Continua a leggere

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jack waldmann

 mi arrivano barlumi d’innocenza, voce di bimbo commovente, inutile e marchiata ormai, pecora nera, di infanti e candore era pieno il ponte, hanno perduto respiri e padri, leggerezze d’un dio distratto. ci sono casi e casi di naufragi e supplizi ai quali hanno levato esistenza, ma il crimine per cui mi danno è altro, è dispari e solo, il mio essere stato risucchiato dal gorgo. ero al carbone, marinaio di fatica e turni faccia scura, buttavo dentro e non facevo domande, per compagnia: una bottiglia di sherry, un sonnacchioso sguardo, un cappello a cilindro, un irlandese orecchi piccoli denti d’oro e topi, fumo, calore, petto avvelenato, braccia forti, unico amico sponda di fiume: un olandese faccia bianca, due dadi per tasca e la storia d’un massacro quando cala la notte. Continua a leggere

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Pregnant-girl

La ragazza incinta aspetta la vita a bocca aperta, e guarda di lato, sempre dalla parte sbagliata. «Non farti vedere in faccia e potrai continuare a muoverti», ripete all’uomo che adesso dorme con lei. Lo scopo del cacciatore è raggiungere l’occhio dell’animale. Su questo siamo d’accordo. I suoi sono grandi e neri, e quando ti fissano, è per fermarti. Gli uomini che si sono innamorati di lei, hanno cambiato direzione. E no, non si sono più ripresi. Persino il padre del bambino, ha arrestato la sua corsa. Lei, ha una faccia che trascina. Quando le stai accanto, ti senti migliore, sai che ti proteggerà. Lo so, di solito è il contrario, e chi non la conosce non ci crederà. Vedendola, qui, fragile, seduta, ad aspettare il domani. Ma vi giuro che è così. Se dovessi descriverla direi: «è un segno nel vuoto». Ecco, come la chiamavo, facendola arrossire. È una creatura dell’aria, molto molto distante da questo mondo. La prima volta che l’ho incontrata, era una ragazza e basta, e le ho detto: «ho un piano per farti sapere di me». Ha sorriso, sbarrando gli occhi come davanti a un plotone d’esecuzione. Ho aspettato che dicesse qualcosa, poi, l’ho rassicurata: «se qualcosa cadrà, sarà addosso a me». E dopo, ognuno ha assunto una forma diversa, fino a dimenticarsi.

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Inutile fuggire

Ero nei bagni della Penn Station di New York, stavo tirando fuori l’uccello in tutta fretta perché nelle orecchie avevo lo speaker che annunciava il mio treno, quando ho sentito un colpo di pistola alle mie spalle. Lentamente mi sono voltato e non c’era nulla. Il colpo, forse, era stato esploso in una delle latrine che stavano di fronte agli orinatoi murari. E se poco prima avevo visto due persone davanti allo specchio alla mia destra: un nero con una giacca da netturbino e un ragazzo biondo e imbrillantinato, ora non c’era nessuno, e la mia unica certezza veniva dal basso: mi ero pisciato sui pantaloni e le scarpe. Sono stato immobile per qualche minuto, e rimettendomi a posto l’uccello ho avuto tantissima paura, volevo correre lontano, senza riuscirci. Poi, visto che non succedeva niente, mi sono fatto coraggio ed ho aperto con lentezza tutte le porte delle latrine. E non so perché non mi sono dato. Avevo una strana sicurezza. Procedevo con cautela da film: mi poggiavo al muro che divideva i bagni, aprivo la porta con forza e poi tornavo di lato, togliendomi dalla visuale. Precauzione inutile, se qualcuno avesse voluto eliminarmi, avrebbe potuto farlo con molto comodo prima. Continua a leggere

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