Mani: congegno diarchico inserito all’estremità delle braccia umane per toccare prendere costruire il mondo. Agiscono perlopiù in simbiosi, anche se in moltissimi casi c’è una prevalenza per la destra, frutto di un equivoco che si protrae nei secoli. Lasciando alla sinistra lo spazio della fantasia, sempre più ridotto. Thomas Mann faceva dire a Hanno Buddenbrook: che le mani parlano, e tutti intorno si prendevano gioco di lui. E rispondevano: non parlano per niente. Possiamo dirlo, ora, dall’alto del tempo passato, le mani parlano e anche tanto, e vanno persino oltre l’essere. Per l’ammiraglio Nelson, una, la sua, viveva e premeva col resto del braccio, anche dopo, nella sua assenza. Erano paura, invece, per il pianista Glenn Gould, fino a pensare di averle di cristallo e quindi perso nella possibilità di romperle, usandole. Un caso di riscoperta della mani, è invece quello della signora Madeleine J., raccontato da Oliver Sacks. La signora soffriva di atetosi: movimenti involontari delle mani. Aveva capacità sensorie ma non percettive, e non riconosceva quello che impugnava o maneggiava. Sentiva le mani come estranee. Era come se non avessero memoria della loro funzione. Un giorno, affamata, allungò per la prima volta nella vita, a sessant’anni, le mani verso una ciambella senza l’aiuto della famiglia. Lentamente le mani cominciarono a riconoscere gli oggetti (M. era cieca dalla nascita) poi le persone, fino a diventare una brava scultrice. Una ricostruzione delle mani e della loro funzione.
Le mani hanno a che fare col movimento non sanno che farsene dell’immobilità, se non per gli attimi delle preghiere de gli abbracci. Per anni mi sono chiesto come sarebbe stato disegnare le mappe dei movimenti di un singolo giorno di una donna. Ci sono mani sottili, mani rugose, grosse, piccole, consumate, curate, belle, brutte, sensibili, grezze, segnate dal tempo o dall’usura, monche, mani buone per ogni stagione e mani da una stagione sola, lascio a voi la possibilità di dare un volto per ogni mano.
Sensibili al calore e al gelo, le mani, sono un sistema oltre che il simbolo della concretezza, persino della concretezza dell’eros, è da una carezza che comincia una storia, che prende vita la scintilla dei corpi. Le mani sono il sentimento elementare, per questo hanno bisogno della giusta temperatura. Vanno considerare anche componenti che avanzando nel tempo, creano, quindi, associate a strumenti o a materiali sono capaci di generare vite e mondi, e persino oscurare e fregare il tempo (vedi – per tutti –Leonardo, mani di).
In un altro tempo, avevo pensato di scrivere la confessione delle mani de “Lo Strangolatore di Boston”, avvalendomi della grandezza di Montalban, che al suddetto aveva dato voce, ho anche cominciato, ma poi, la loro iperattività, era troppo per la mia pigrizia, e per ora è un progetto fermo.
Si dovrebbe discutere di mani partendo da chi è costretto a usarle contro il suo volere, o da chi deve usarle oltremodo, e penso a chi lavora nei campi o in fabbrica, e agisce in un tempo curvo e buio che richiederebbe una discussione più ampia, anche se parte dalle mani sporche di grasso o terra e finisce nella mani che ne stringono altre dopo essersi passate dei soldi, o anche solo un click di invio, un gesto nuovo per una situazione antica: sfruttamento.
C’è anche una incapacità di vedere attraverso le mani, che viene chiamato comunemente infermità. Il loro contrario sono le mani che diventano lingua, quella dei segni, e in quel caso annullano una infermità sonora.
Dare una mano, espressione per farsi Dio, in alcuni casi.
Infine, mani: modalità o utensili di carne, insieme fanno sistema, e possono persino costruire un paesaggio. Si fanno fredde quando smettono di essere. Appena vedono la luce, vengono suonate, quasi che il loro battere, certifichi l’avvenuta essenza. Per questo, c’è tutto un catalogo di lessici, per le mani, questa è solo l’introduzione.
Foto: Laura Levine , Sinead O’Connor, New York City, 1988