Oggi è il mio compleanno: compio 36 anni. Da dieci mesi mi trovo in una clinica. Ho tentato il suicidio tre volte, con l’ultima ci sono andato più vicino del solito. Ho avuto problemi con la cocaina, l’alcol e la depressione, nell’ordine. Sono attore e regista di diversi film, alcuni, francamente, dimenticabili. Vengo ricordato solo e sempre per l’interpretazione di un commissario marsigliese sfigato, dall’amara ironia, che mi fece vincere a Cannes la Palma d’oro per la migliore interpretazione e candidare all’Oscar, condizione che mi portò negli Usa: andare a tanti party, scopare molte donne e raggiunse il suo culmine nell’amore con Jane Hebborn attrice, poi divenuta mia moglie, alla quale ancora oggi verso un assegno di ingratitudine imposto da un tribunale per un figlio down che se ne sta rinchiuso nella sua villa a Los Angeles. Ho scritto tre libri, due romanzi e un’autobiografia, non in quest’ordine. L’ultimo è un voluminoso noir che scalava le classifiche mentre ero in coma. Ancora non so se il successo era dovuto alla malattia o perché avevo scritto un bel libro. Queste domande però sono state superate dalla sorpresa al mio risveglio: c’erano di nuovo tutti i miei amici, molto più cordiali di prima, peccato che io non fossi più lo stesso e non avessi più voglia di perdonare. Il cinismo è una splendida condizione d’animo che si raggiunge sul serio solo quando non hai più nulla da perdere, quando hai esaurito le facce da esibire, i numeri da chiamare, le donne da pregare, il dolore, i produttori, gli agenti, gli amici, le puttane, i figli, le case, e i soldi.
Ho impiegato del tempo per arrivare in questo letto d’ospedale e capire. Ora che sto rinascendo, recuperando le parole e soprattutto i movimenti elementari, so che per quante sorprese ti riservi la vita, nessuna di queste cambia la piega del tuo essere come può lo stare di fianco alla morte per un tempo prolungato e indefinito.
Oggi è il mio compleanno, ed è un giorno di sole.
Mi chiamo Marco Ferrante ho cominciato la mia carriera d’attore molto presto, nel primo film – tratto da un fumetto – ero un ragazzo che perdeva il padre in un incidente e alla fine ne aveva in cambio una villa con piscina. A sedici anni ti va bene qualunque cosa. I quotidiani cattolici condannarono la morale (la morale?) e fu un successone. Il personaggio piaceva, ne facemmo una serie tv, gadget d’ogni tipo e la mia faccia finì persino sulle patatine. Nel frattempo frequentavo l’accademia d’arte drammatica, e al culmine della mia popolarità –sbagliando – scelsi di recitare a teatro per imparare il mestiere come si deve e smaltire quella che i giornali chiamavano “sbornia di celebrità”. Il mio idolo era Volonté, e poi ero un ragazzo che credeva nel futuro. Ecco l’errore, mai rimandare nulla, mai buttare via il successo per la critica, i soldi per la morale, lo dico nel caso queste righe venissero lette da un giovane attore, spero per lui di no, il tal caso sappia che è uno sfigato. Questa è una storia che si legge al mare, su un pullman, che sta bene nella tasca della giacca di un vecchio o nella borsa di una signora sopra gli anta, che compri all’autogrill quasi per compassione, ma se hai vent’anni e leggi libri di memorie o quasi, scritte per fare soldi, sei messo davvero male. Vuoi continuare ok, ma non dire che non ti avevo avvisato.
ehi Mexican o come cazzo ti chiami, hai memoria corta, hai dimenticato di quella volta che non eri solo in quell’assalto al magazzino di giocattoli all’angolo tra la 24 e la 65! Di tutte quelle bambole decapitate e gli occhi cavati ai cavallucci di legno, e poi in un abbraccio isterico a scambiarsi il “cinque”. Quando il proprietario ci sorprese non esitasti, dopo averlo tramortito, a fargli riprendere i sensi con una flebo improvvisata a base dell’ultimo gallone di miscela per lo scooter… eh che tempi… capisco che tu non possa ricordare… ne è passato di tempo… e di bourbon nelle nostre gole… e poi avevi non più di nove anni…
hasta mexican, o come cazzo ti chiami…
Fai pure proseliti…
solo la religione fa proseliti annebbiando la propria e l’altrui mente, MEXICAN
è un compagno randagio che come me vede la libertà solo ad ogni risuolatura di
scarpe.