Una delle prime spedizioni del dottor Marcus, fu al polo Sud, ma solo anni dopo rivelò quello che aveva scoperto. Il suo interesse per il ghiaccio si deve all’amicizia con Felix Hoenikker, scienziato nucleare, e padre della teoria Ghiaccio-Nove, che tutti conoscete. È risaputo che l’uomo insegue il benessere e un certo tipo di calore, quindi a Marcus interessavano il disagio e un certo tipo di freddo sotto lo zero. Poi, al solito, ci mise del suo, sostenendo che il ghiaccio avesse una sua melodia, come certe nuvole di calore avevano a che fare con la musica africana e si erano raffinate con i suoni di Jobim. Marcus arrivò a dire che all’interno del ghiaccio c’era una melodia che poteva essere fatta uscire nel passaggio tra lo stato liquido e quello solido. E la melodia è data dalla quantità di ghiaccio analizzata, per dire: in un iceberg ci sono Beethoven e una orchestra (l’esempio spiazza lo so, ma provate a immaginare). Ovviamente il ghiaccio fa a meno delle parole avendo la potenza del suono. Le chiacchiere si sa diminuiscono il potere della musica. Per questo i musicisti e la musica si rifugiano proprio nel nucleo solido del freddo, cassa armonica per pochi. Ci sono intere sinfonie ancora da scoprire ai più, che però, Marcus, ha tirato fuori e catalogato in un file, chiamato “Shackleton216”. C’è anche una necessità del ghiaccio a riprodurre e incamerare suoni, e una inclinazione al silenzio esterno, per favorire questa riproduzione tutta interiore. La teoria tiene conto di questa esibizione sul confine tra passaggi di condizione. Marcus conta che questa scoperta rivoluzionerà non solo la musica, ma porterà anche allo studio del suono nascosto delle foreste che sono ghiacciai inconsapevoli. Su questo non ha voluto dire altro, nella conferenza stampa che annunciava la teoria. Ma prima di salutare, si è lanciato in una spiegazione che in molti non hanno compreso, nella struttura elastica interna che forma le note del ghiaccio, disegnandola su una lavagna. Con dentellature e incroci musicali, e rimandi ai compositori russi, spesso sconosciuti anche ai giornalisti scientifici più preparati. Ha chiuso mostrando l’apertura triangolare indicata come foro d’uscita del suono contenuto nel nucleo del ghiaccio. E ha proiettato, infine, una foto stranissima di un panorama bianco ghiacciato con una striscia d’oceano che appare come orizzonte lontano. Dice: è quello il confine che riflette la musica, la piega tra le due condizioni, senza restrizioni. Il vuoto è sempre un sepolcro in attesa di un nome.
photo Herbert George Ponting
Splendida e poetica lezione di fisica!
L’ha ribloggato su La nottambula di Minerva.