Archivio mensile:marzo 2012

Oggetto d’amore

Siamo nell’abbandono allora ci circondiamo di persone e soprattutto oggetti, a metterli in fila proviamo a dirci meno soli, convinti che piacere, felicità e risposte fuori da noi stiano nelle cose. L’ha fatto l’artista cinese Song Dong nella mostra “Waste not” al Barbican Centre di Londra, con cinquanta anni di oggetti di sua madre: Zhao Xiangyuan, una lista materiale di tutto quello che le è passato tra le mani, sul corpo, davanti agli occhi. Ne viene fuori un puzzle che dice: giorni in fila. Con sottofondo di pentole, mestoli, bottiglie, coltelli, giornali, scatole, tappi, giocattoli, elettrodomestici, vestiti e tutto quello che vi possa far dire quando lo incrociate al mercato dell’usato: chissà chi c’è dietro. Ecco Song Dong, ne ha fatto uno spartito che suona l’esistenza di sua madre, una mappa per oggetti che dice come era la vita di una persona normale in Cina, e come didascalia c’è il proverbio: “Wu jin qi gong” (non bisogna sprecare nulla). Continua a leggere

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La giornata di un venditore d’auto a Buenos Aires

Posò la bacinella davanti allo specchio. Alzò gli occhi. Vide le sue guance flaccide. Le occhiaie che giravano scure. I peli scomposti sul viso. Slacciò la vestaglia gialla che larga gli cadeva addosso. A torso nudo rimase in attesa di sbarbarsi. Fuori la pioggia non invitava a uscire. Sul letto c’era il suo completo blu. La cravatta e i calzini sulla sedia accanto. Si voltò a rassicurarli. Quel pensiero era scomparso. A breve avrebbe saltellato fino alla galleria “Pacifico”. Pronto al temporale. Al giro di quel giorno. Alla routine del lavoro. Tornò alla sua faccia. Paziente. Insaponò il viso. Occhi chiusi. Le mani passavano lente la schiuma. I peli ispidi sotto la linea della mascella divenivano bianchi. Coperti. I tetti di fronte. Scuri d’acqua. Umidi. Gli diedero un brivido. Le guance lisce che prendevano forma nello specchio. L’ombra nera che macchiava la bacinella. In ordine sparso. L’acqua da stagno. Gorgo bianco. Isole di schiuma vagavano nel cerchio chiuso della bacinella. Profili tignosi. In un oblò di vapore emergeva il viso di un vecchio. Pensò. Continua a leggere

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Shark

Tanti che erano lì lo videro, e subito furono inghiottiti dalle stime, tutte riassumibili nella domanda: quanto sarà grande? Un vocio ciancioso se la giocava con le grida, che partirono appena l’animale fece quello che tutti temevano, raggiungendo la donna. Ci fu chi guardò e chi no, chi abbassò lo sguardo per soggezione e chi urlò per la paura, io pensai a quanto salata è l’acqua dell’oceano e a come la dolcezza del sangue potesse mitigarne una modica quantità, e dopo mi ritrovai con le lacrime sulle guance. Il delitto era consumato, un funerale con tavola da surf, molto meno colorato di una corrida e nessun motivo che lo avesse scatenato, se non uno scontro tra nature. Mi rimasero impressi i movimenti dell’animale che tendevano a strappare la carne della donna, e non erano per niente riconducibili agli esempi che avevo sentito fare per episodi simili, tutti questi esempi avevano una praticità che riduceva il male a un lavoro artigianale che si svolgeva in assenza di richiesta, no, si trattava di qualcosa di inumano, che avveniva a una velocità pazzesca e con una reiterazione che andava in crescendo, ogni giro aumentava di intensità, era un modo puntiglioso di dare la morte,  martello su incudine, picchiava sempre più forte, sempre più forte, e poi quasi ci fosse una soglia di decibel da raggiungere, smise. Continua a leggere

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Tentativo di localizzarsi

Da quando mister Wallace aveva fatto pace con la sua immagine, cioè con il corpo che gli appariva negli specchi, vetri, e fotografie, erano ricominciate le uscite e stava riprendendo persino a pensare di rispondere in modo affermativo alle tante richieste di conferenze che gli arrivavano dalle diverse università della nazione. La sua non era stata certo una mancanza di inventiva, come testimoniavano i suoi libri, figuriamoci se non era riuscito a immaginarsi diverso o simile ad ora, quanto, piuttosto un eccesso di voglia di arrivare a far corrispondere l’immaginato con la realtà, in questo caso della sua figura. E, purtroppo, la vita non la giri come una pagina, ci vuole del tempo per arrivare alle cose, «ogni cosa ha il suo tempo» avrebbe detto il suo maggiordomo indiano: Dileep, un uomo dalla mitezza di bimbo, già, chissà dove era ora – guardarsi la giacca e dire come si scrive interpretazione –, si può mica girare con una busta in testa in attesa che le immagini combacino? Certo che no, allora bisogna stare dentro, coperti, e aspettare. L’estetica come attesa, Wallace vedeva arrivare il suo corpo sognato e dare il cambio a quello percepito e quindi il via alla nuova fase, quella di azione, o ripresa a vivere, chiamatela come vi pare. Una staffetta tra corpi. Continua a leggere

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Posizione di tiro

La rovesciata e il colpo di tacco nel calcio sono come i Beatles e i Rolling Stone nella musica, almeno per me, e quindi talonnade e Mike Jagger. La rovesciata è barocca, è un urlo, e infatti piace ai più. Il colpo di tacco è il silenzio nel caos delle aree di rigore. E io sono un tipo piuttosto silenzioso, votato alle cose impossibili – per dire amo l’Athletic Bilbao, da prima che arrivasse Marcelo Bielsa, mi basta sapere che non imbrogliano e che sugli spalti c’è una ragione sentimentale, anche sbagliata e minoritaria ma autentica. È come per le donne e i libri ognuno ha i suoi canoni. Tra i tanti calciatori capaci di colpire il pallone con l’altra punta estrema del piede, c’era Rabah Madjer, algerino, anche lui come Hugo Sanchez, un dispari (ripeto la mia teoria sui calciatori, per gli assenti: ci sono giocatori definiti “pari” come Messi, Cruyff, Baresi, che non solo sono grandi ma hanno anche una squadra apparecchiata, poi ci sono i calciatori definiti “dispari”, cioè quelli bravissimi come Sanchez, Milla e appunto Madjer, che però non hanno la squadra, e poi c’è Maradona che squadra o no, importa poco, è fuori categoria, per dirla con Menotti: “quello che prende una banda e la trasforma in una orchestra”). Continua a leggere

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