Ho visto un mucchio di ippodromi in giro per il mondo, belli brutti, grandi piccoli, legali e non, in tutti ho scommesso, qualche volta ho anche vinto, ma non era quello lo scopo, l’ho fatto per il gusto di starci dentro. Credo che la vita abbia a che fare con le corse dei cavalli e non con quelle delle auto, anche se l’adrenalina è la stessa, ma senza casco. È il vento sulla faccia che fa la differenza, e la speranza di chi guarda i cavalli andare, ci vado per quei volti, che hanno la colpa attaccata addosso come la pelle, le loro vite sono alfabeti scritti da bimbi: sbilenchi, con curve improvvise e dalla parte sbagliata, pieghe su pieghe, esitazioni, rattoppi, errori e riscritture nella stessa pagina sullo stesso rigo, una fede enorme con la consapevolezza che no, oggi non è come ieri, o almeno si spera. Il loro lanciarsi nel vuoto – che è il raggiungere il banco delle scommesse o l’uomo che sta in disparte e ha una posta maggiore da offrire – mi comnuove. È fedeltà al vuoto, sapere che c’è un buco in fondo e che ci finirai dentro ma prima meglio provare ad aggrapparsi a qualcosa, magari una cavalla. E dietro di loro, guardando bene puoi anche vedere donne che li consoleranno, che sopportano la quotidianità che si fa riffa, sanno ma non dicono, e se dicono urlano ma poi perdonano, son quelle che piangono in bagno sotto la doccia. È un gioco complesso quello che cuce gli spalti di un ippodromo con la città che sta intorno. C’è il malcontento, la delusione e anche la violenza che si fa denaro, ci sono gangster e medici, broker e pensionati, e poi c’è sempre quello speciale con un altro mondo nel portafoglio e due mazzi di chiavi in tasche diverse, che scrive canzoni, ha il posto ma non ama la scrivania e spesso non sta né dalla parte giusta né da quella sbagliata, ma solo in mezzo agli altri, è una foto di gruppo come quelle che si facevano una volta a scuola, hanno tutti il grembiule, e i voti passano per le facce stampate sui biglietti: che vanno e vengono come fattorini di un grand hotel. Intorno c’è un equilibrio tra bene a male, un nebbia di speranza come lo spirito santo discende su questi uomini e con loro rimane, anche quando i soldi sono finiti, si resta a guardare, persino per avere qualcuno da invidiare perché ha vinto, da trasformare in colpevole mentre si torna a casa, e come esempio il giorno dopo: prima o poi le parti si invertiranno, Oh sì, potete giurarci. E allora si riaccende l’auto, si mente a tutti e si va, a cercare la vita, appesa a una criniera, in balia di una stretta di gambe piccole, di uno slancio di qualche metro, di uomini alti come scimmie che se la giocano o almeno convincono molta gente che lo faranno, Dio mio fa che oggi non piova. Sono numeri sul retro di una busta, conti in rosso, colonne di calcoli, vite ordinate da gravidanze inaspettate, padroni di casa tiranni e famiglie che non sanno amarsi. Un caffè macchiato, un tè con troppo zucchero, whisky senza marca, birra come piscio, vodka o gin non importa, persino un sandwich con molti giorni o anche solo acqua, sigarette, non conta con cosa diluisci la tua voglia. In attesa di essere sorpreso. C’è quello predisposto al ricordo che gioca a memoria, c’è quello che non ha più ricordi e quello che non ne ha mai avuti, c’è l’esperto e il pivello: spalla a spalla e non è detto che il primo abbia ragione del secondo, c’è lo stupido e l’incosciente, c’è chi Un giorno vengo con la pistola, e chi con la pistola è venuto ma non ha avuto il coraggio perché ha capito e visto quello che non capisci e vedi senza una pistola. C’è chi Questa è l’ultima e chi se ne frega, oggi come ieri, domani come dopodomani. C’è sempre una prima volta e Chissà quando mi ricapita, c’è chi Oggi ho vinto, cazzo, ma potevo vincere di più, e chi Oggi non ho vinto, cazzo, potevo vincere almeno un poco, c’è chi Se avessi voluto e chi Dovevi starmi a sentire. C’è chi è convinto di tirare giù il sole dal cielo e chi confida in uno sguardo, c’è chi aspetta e chi non sa farlo. È un esercito di dubbio, brezzolina puzzolente, c’è sempre sudore sulla schiena o in fronte, un dente marcio, il tabacco che ha colorato i baffi, le cravatte scostate di lato o riposte in tasca, una macchia sulla camicia e il telefono che squilla a vuoto, una trasparenza per brevità chiamata disperata sincerità, e c’è chi Sono amico del fantino, sì quello, proprio quello lì, e mi ha detto che. C’è chi vede andare e chi non ha mai visto niente ma torna uguale, non è solo inquietudine. È proprio un riflesso di luce sulle facce opache. Una volta a Buenos Aires, uno mi disse: Se ci pensi le corse di cavalli hanno a che fare con l’ordine, prima le bestie correvano libere erano abbandonate e senza regole, l’uomo si è limitato a dare al loro vagare uno scopo e una direzione, e sopra ci hanno il divertimento. Ho sorriso, non avrei cambiato nulla spiegandogli che non era così, e gli ho invece chiesto dell’incontro di Coppa Davis che trasmettevano, scoprendo che era persino stato un tennista discreto. Avrei voluto dirgli Che la fortuna è incolore e tondeggiante, e ha lo sguardo assente. Che Dio dorme nei motel americani, e che il demonio ha un edifico lussuoso in ogni città che si rispetti. Che gli animali sono i veri padroni del mondo e noi gli usurpatori. E che sì, c’è una fiamma fantastica per ognuno di noi, e non conta il vento, l’acqua o la legna, non puoi controllarla, quando si spegne è per sempre. E lui avrebbe risposto: Lo so per questo ci sono le corse di cavalli.
(per Beppe Viola)
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Ti voglio bene Ciriè.
ricambio con brio,
[…] di Berlusconi, e dietro c’era San Siro col padre prima e poi lui a giocarsi tutto il possibile sui cavalli e quello che resta è per il Totocalcio, puttana Eva di tanti zii nessuno con i soldi, e l’amore […]
[…] andata e ritorno / un giro di cavalli / con un ragionamento, sperimentale, sui pronomi / e le tibie / le tibie a disagio / che […]