Quando ormai sembrava essere diventato una star della pubblicità è arrivato Zeman a regalargli un tempo supplementare, così Francesco Totti ha conosciuto una nuova giovinezza. È dimagrito, corre, recupera ma soprattutto si diverte, non solo a lanciare i compagni, a scambiare velocemente o a smarcarli e di tacco, ma a fare gol. E prima di Zeman, era stata Rosella Sensi a fargli un contratto fino al 2014, scommettendo al buio, su un campione che sembrava avere più futuro in tv che in campo, con la moglie Ilary Blasi i giornali si divertivano ad immaginarli in una riedizione di casa Vianello per l’intimità familiare esibita in diversi spot. A vederlo ora il ragazzo che non si è mai tolto la maglia della Roma e l’ha pagata in termini di carriera non certo economici, per fare il Re a Trigoria si è perso il Real Madrid e forse anche qualche squadra inglese, biglietto aereo, partite di Champions e sicuro Pallone d’Oro. Ulisse immobile che cerca di spostarsi con la sua Itaca (i confini vanno da Trigoria a casa sua e viceversa). Abitudinario, sembrava essersi seduto sul trono che gli spettava, costruito per lui, andando oltre Falcao, Conti e Di Bartolomei, impassibile a tutto, alle sconfitte, alle crisi di gioco ed economiche della squadra e ai passaggi di presidenza, poi è arrivato Zeman, quello che si era inventato Totti, i due sono legati come Clint Eastwood e Sergio Leone, gli U2 e Iggy Pop, Messi e il Barcellona, sono un verso solo che ora torna a farsi nota e strumento e le suona a tutti o quasi. Ma quello che conta è quello che si vede: una estetica che parte dal nuovo corpo – ringiovanito – del capitano e arriva al gioco complessivo, andando oltre le sconfitte, le rimonte subite e gli sbagli difensivi. Rimane sempre la rinascita. Totti sorride e la tocca di lato, la mette dentro, la palla torna a ubbidire e lui a correre insieme, ha smesso di fare il Cruyff immobile che voleva il pallone sui piedi e se gli andava tirava anche da centrocampo, è tornato il dispensatore di occasioni, quello che inventa spazi e corridoi, e anche quando non segna è decisivo. Presente a se stesso, come non lo era da anni, con l’ironia che dagli spot è tornata al campo. Il suo è un tempo infinito, piegato alla voglia di non smettere, dilatato in un dribbling di anni – quelli che verranno – come e più delle punizioni di Mariolino Corso nelle pagine di Berselli. Perché “Il più mancino dei tiri” è quello che Totti ha fatto a chi lo riteneva finito, a chi tracciando il bilancio del suo stare in campo (nonostante il record dei gol in serie A) diceva: in fondo la cosa migliore che ha fatto fuori da Roma è tirare un rigore contro l’Australia al 90’. A parte che trovarne altri che entrano e tirano, e soprattutto segnano, per quanto svagato, per quanto si porti dietro gaffe e rozzaggine, Totti rimane il più lucido (in campo e fuori) della sua generazione. E anche il più capace di resistere non solo al tempo ma ai cambiamenti di questo, un provinciale come Bocca e Fellini, per questo capace di scavalcare quello che non gli appartiene, e che pure ha scalato, con una leggerezza e una ingenuità che sembrava aver conservato solo fuori dal campo, invece aveva solo bisogno che tornasse in panchina l’uomo che si era inventato la sua centralità, quello che gli riconosceva capacità e libertà, senza smettere di chiedergli di correre ma lasciandogli lo spazio per essere se stesso. La presenza di Zeman è la garanzia in campo per Totti, il suo sguardo una concessione a non smettere di cercare il gioco e il divertimento che sta nella sua costruzione. Provate a guardare le partire dello scorso campionato e poi quella contro il Milan o la Fiorentina, sembrerà di vedere un vecchio passato per le acque miracolose della piscina di “Cocoon”. Il ritardatario, il coatto, il ragazzino che palleggiava tra porta Latina e porta Metronia, poi il fantasista dal fisico possente, fino al vecchio regista, infine il rinato, come un Terminator che no, non lo butti giù, quello che doveva lasciare il posto ad altri e magari andarsene lontano come Del Piero. No, lui è rimasto, e continua a tenere testa a tutti, difensori, giornalisti e nuovi avversari. È un re ferito in battaglia che è tornato alla testa di un esercito diverso, schierato quasi come il suo, primo, ma che stavolta ha dalla sua un capitano che ha imparato a cadere, e nella battaglia non pensa più a se stesso ma agli altri, perché c’è già stato, ha già giocato e perso, e ora sa da che parte tirare, in che spazio stare, dove farsi trovare, per vincere. Perché ha la forza aggiunta del reduce, che, contro il tempo, torna giovane.
il miglior pezzo sul calcio mai apparso a queste latitudini.
complimenti
Ma grazie,
[…] calciatori: chiedete ad Higuain. Fra qualche anno vedrete la sua faccia illuminarsi come quella di Totti per Zeman, Milito per Mourinho, Ibrahimovic per Capello, quando gli chiederanno di Sarri, perché […]
[…] dalla Sampdoria. Il punto in comune delle sue squadre è la centralità dell’uomo assist: Totti a Roma, Lodi a Catania, Borja Valero a Firenze, e ora Cassano alla Sampdoria. Il resto è ricerca […]
[…] azzoppato che prova ancora a piazzarsi. Tutto ri-comincia col la restaurazione di Zeman alla Roma, allora Totti era grasso y final, ma lui lo rimise in piedi e a dieta, divenendo la sua Cocoon. Il problema con i profeti come Zeman è che ti fanno vedere quello che non […]