Necesita ser idolatrado

Una vita in prima persona sovraesposta, questo era Hugo Chávez. Sopra le righe, sempre, fautore del darwinismo sociale, che ha provato a connettere l’America Latina, ad allacciarla da Cuba all’Argentina partendo dal suo Venezuela, e ci è riuscito in parte, con l’orgoglio: più in fotografia che nella realtà, più in piazza che nei bilanci di governo, più a parole che nei decreti, più nel sogno che nell’economia degli Stati. Ha avuto due sole luci, una alle spalle – Simon Bolivar –  e una (quando non c’erano le telecamere a riprenderlo) davanti – Fidel Castro. Per entrambi ha mostrato molto affetto, era un uomo di cuore e istinto, la sua è tutta una politica di pancia e rappresentazioni, esagerate, istrioniche, con diverse punte di poesia contadina, credenze popolari e realismo magico (si veda nel film di Kusturica su Maradona, nel contro vertice di Mar del Plata, quando soffia tre volte al vento per far smettere di piovere, e ride – io c’ero e l’atmosfera era indimenticabile). Anche se quando si è trattato di occuparsi di economia e petrolio, è apparso molto moderno, certo: con teorie del passato, dico moderno nel modo di muoversi, s’intende. Il suo è stato un esperimento di socialismo sudamericano a metà strada tra Cuba e il Brasile, con molte ombre, facendosi, però, esempio per Evo Morales e la sua Bolivia: più come copertura che come orizzonte. Non gli mancavano carisma né capacità di seduzione (delle masse), non gli mancava nemmeno ironia come quando si presentò all’Onu e disse che sentiva ancora puzza di zolfo dovuta al passaggio di Bush, che era stato lì il giorno prima. «Il diavolo è stato qui», disse, facendosi la croce, ma per Bibbia si era portato un testo di Noam Chomsky: “Egemonia o sopravvivenza. I rischi del dominio globale americano”. Era un Arafat senza tragicità araba, né costrizione a mendicare fondi e appoggi politici, più sorrisi e pistola nel fodero, ed era un Castro moderno, meno colto ma molto più veloce a capire il mondo. Aveva una presenza da rapper, anche se era un militare e non perdeva occasione per ricordarlo a chi gli stava intorno. Aveva una proiezione di sé nel mondo come antagonista degli americani (con molte ragioni storiche) ma a forza di lucidare il ruolo è finito a parlar bene e a condividere le assurdità di Ahmadinejad. Quello che non si può negare è il tentativo di inventarsi un argine, con istanze sociali giuste, piaceva ai poveri del suo paese (direte: come tutti i dittatori, ma non ricordo politiche sociali simili alle sue, né sforzi per garantire un futuro equo agli emarginati venezuelani pari a quelli fatti, tentati: di sicuro sono diminuiti i livelli di analfabetismo e quelli di povertà). Era nato in un posto da far west, il 28 luglio 1954, Sabaneta di Barinas, un villaggio nel cuore dei Llanos, e ci vorrebbe Vargas Llosa per raccontare le praterie che han visto crescere Chávez. Non era povero come faceva immaginare, ma figlio di un maestro di scuola, e da parte di sua madre aveva come discendente Pedro Pérez Delgado “Maisanta”, un famoso bandito di strada (bisognerebbe scomodare Hobsbawm). Da queste due notizie con l’aggiunta del baseball (un gioco che educa alle regole) si può capire molto del ragazzino che mescolò marxismo e accademia militare, diventando il presidente di una  “Repubblica Bolivariana”.  È stato capace di inventarsi nemici ma anche di ridare dignità al suo paese (sul modo e sulla possibilità di averne altri se ne occuperanno gli storici), come di soffocare l’opposizione che però non aveva la limpidità di una Aung San Suu Kyi. Non gli sono mancati i momenti surreali, uno per tutti: quando diede dell’asino a Bush, nel suo programma tivù (di stampo, linguaggio e tempi da Castro). La sua malattia è stata un mistero, poi no, poi sì. Era tutto lì, Chávez, l’uomo che si fece padre dell’America Latina, una figlia troppo grande da educare.

Photo Mauricio Lima

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3 thoughts on “Necesita ser idolatrado

  1. […] rigori sbagliati da Martin Palermo: un Chinaglia argentino con la faccia da Califano. Il resto è Hugo Chávez che porta la Copa in Venezuela e prima la Colombia che vince tra un doppio sandwich brasiliano, […]

  2. […] di Maduro persino tatticamente sono scarse. È riuscito a consumare in poco tempo le conquiste di Hugo Chávez, a sperperare le sue idee, capovolgendo l’economia statale, e ora difende i suoi errori con le […]

  3. […] da Blatter a Platini fino a Pelé – ma ha anche pochi amici – se ne sono andati Fidel Castro e Hugo Chávez, i suoi genitori e un mucchio di uomini e donne, e non parla più nemmeno con Jorge Valdano –; il […]

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