Il reduce

xCiro Immobile è un reduce, uno di quegli attaccanti che vengono da un mondo lontano. Connette due tempi, non solo il centrocampo con l’attacco del suo Torino. È uno di quei calciatori che sembra appena uscito da un temporale, una partita giocata nel fango, viene da lontano, tira da lontano, andrà molto lontano. Lo immagino arrivare anche agli allenamenti mattutini come uno che ha appena superato una trincea, un confine. Non è solo la sofferenza di una carriera di alti e bassi, prima fenomeno a Viareggio, capocannoniere in B col Pescara, poi delusione al Genoa, ora di nuovo in cima, davanti a Tevez, Higuain, Toni, Gilardino, Balotelli e via andando. Poi magari non diventa capocannoniere della serie A, o forse sì, quello che conta è aver detto a tutti che non era il ragazzo che a Genova si era perduto, e quando è tornato, segnando, ha detto: «Dopo il gol del pareggio ho voluto sfogare la mia rabbia, solo io e la mia famiglia sappiamo cosa abbiamo vissuto la scorsa stagione». È di nuovo quello che segna, il ragazzo che attraversa le difese e scavalca i portieri, si sta giocando il Brasile, se lo gioca su ogni cross di Cerci o passaggio di El Kaddouri, mentre Ventura sorride al pubblico per aver scommesso su di lui come solo Zeman. Sì, perché ogni volta che un ragazzo diventa uomo e poi sicurezza del calcio c’è di mezzo lo sguardo di Zeman, l’unico allenatore che sa vedere dove gli altri guardano, chiedete a Totti. E, ora, anche Prandelli non può non farsi carico del curioso caso di Ciro Immobile: quello che segna di destro, sinistro e di testa, magari non corre come Bale, magari fa meno dribbling di Tevez, entra di meno di Higuain nell’area piccola, ma segna di più, e per ora è un dato incontrovertibile. Segna di più in una condizione di svantaggio, giocando in una squadra che non lotta per la Champions figurarsi per il titolo, gioca per starci, dove ogni partita è una finale, una giornata in trincea, che però sta diventando una corsa in salita per l’Europa League, e Immobile segna non tirando rigori, praticamente uno dell’altro mondo. Si trascina dietro, invece, una sofferenza elementare che scioglie in porta, in ogni tiro, riportando a casa sempre un gol. Forse perché ancora non ha trovato la grande squadra e la continuità, forse perché ancora qualcuno storce il naso quando si fa il suo nome. Forse è solo un modo per non montarsi la testa o una gabbia costruita per difendersi dalle tante complicazioni che spesso chi non gioca ha difficoltà ad identificare. Oppure perché sa che non ci sono stanze a Parigi prenotate a suo nome, e come la locomotiva ha la strada segnata: finirà alla Juve o peggio in Germania al Dortmund o forse no, tornerà a casa, a Napoli. Una volta, mentre aspettavo Zeman, a Pescara, lo vidi in allenamento, lavorare sodo per rettificare una dinamica che sembrava dargli torto, provare e riprovare a calciare nello stesso angolo della stessa porta, era come veder decollare sempre lo stesso aereo. Poi pensai a Michael Jordan ragazzino che provava canestri, insomma, avete capito, quella scena diceva tutto di Immobile, magari la ripetono uguale in migliaia, ma la differenza la faceva l’ostinazione che potevi leggere in ogni suo piccolo gesto_ come posizionava il pallone, come prendeva la mira e poi calciava. Il talento è questo, devi lavorarci intorno, scolpirlo prima che si solidifichi, prima che si trasformi in una immagine che non ti appartiene, devi piegarlo e renderlo tuo. Quel giorno, Immobile ci stava lavorando, ci sta ancora lavorando, e a me piacciono quelli che procedono per tentativi e mentre avanzano ci lavorarono, riflettono, non smettono. Il calcio è fatto di esperimenti continui, acquisisci delle azioni elementari e poi ti scegli l’idea in grado di condurre quelle azioni al successo. A volte riesce, a volte, no, a volte segni, a volte no, qualche stagione va bene, qualche stagione va male, l’importante è provarci. Per questo Immobile tira da tutte le parti, e segna. Senza chiedere o preoccuparsi, esibendo un impulso da arma automatica.

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