Ha avuto in sorte un gran cuore e una breve curva di tempo. Ma quel poco d’esistenza che è toccato a Mariateresa Di Lascia non è stato sprecato. Veloce, istintiva, non si è mai arresa neanche quando si è trattato di lottare con il cancro. Una donna tenace che ha scelto la politica come forma di cultura e opposizione, nascondendo il suo vero interesse: la scrittura. Poi esplosa, con successo, in sua assenza. Si era lasciata dietro la passione dello scrivere privilegiando l’utilità del far bene, l’occuparsi del prossimo, della sua condizione d’inferiorità, d’offeso, di reietto soprattutto; ma alla fine è ritornata fuori. Ha militato nel partito radicale fino ad essere vice segretaria dietro Marco Pannella (uomo con un ego grande come il Michigan), non deve essere stato facile per una come lei. È stata parlamentare, si è occupata a lungo delle carceri e dell’impietoso trattamento riservato ai prigionieri, qui conobbe Sergio D’Elia, alla fine dell’86, militante di Prima Linea, poi divenuto suo compagno: «Mariateresa mi aiutò moltissimo, in carcere e dopo, a uscire dalla mia storia non da sconfitto, e a recuperare la mia parte migliore». È stata anche al fianco di molti uomini vittime “d’ingiustizie” come Enzo Tortora e Adriano Sofri con il quale coordinerà, nel 1993, la campagna “Io digiuno” in favore delle vittime di guerra nella ex Jugoslavia, e, dopo, Sofri ricorderà l’esperienza nei Balcani e la generosità di Mariateresa così: «A Sarajevo ci sono dei ragazzini che girano fieri del loro Swatch colorato, e non sanno che è stata lei a regalarglielo». Nel 1987 organizzò e guidò la campagna contro il nucleare in occasione del referendum. Anticipando le mode e l’interesse di oggi, fu appassionata sostenitrice della causa del Tibet e del rientro in patria del Dalai Lama. Fondò l’associazione “Nessuno tocchi Caino” che si batte per l’abolizione della pena di morte nel mondo, oggi attivissima, è divenuta una vera e propria istituzione dalla quale non si può prescindere quando si ragiona di diritti umani. E infine, ma solo per una questione di tempo, scrittrice. Ha impiegato quattro anni per scrivere il suo romanzo, e poi è passata ai racconti, uno di questi “Compleanno” – spietata lettera di una donna al marito nel giorno della sua festa – anni dopo è diventato un cortometraggio. Da postuma vinse il premio Strega – con il suo primo romanzo: “Passaggio in ombra” – come accadde a Tomasi di Lampedusa e al suo “Gattopardo”. Quel libro lo aveva scritto «per essere amata da chi mi leggerà», come disse poco prima di morire. Stupiscono le sue azioni, la sua capacità di tirare fuori il meglio dagli altri. L’audacia e il silenzio. Così è diviso il suo romanzo. Così è stata scandita la sua vita. L’audacia, di essere radicale partendo da un paesino della Puglia (Rocchetta Sant’Antonio in provincia di Foggia), il coraggio di battersi contro il potere, di non scegliere i grandi partiti, ma uno piccolo che non garantiva nulla se non l’opportunità di lottare per cause giuste, bordeggiando il Palazzo, avendo la sicurezza solo dell’imperativo pasoliniano e poi sciasciano dello scandalizzare, l’essere sempre sul filo dello stupore, incarnando la diversità in un paese bigotto e clericale. No, non era facile. Assumere pozioni scomode e minoritarie per fini altissimi e spesso irraggiungibili. E, poi, il silenzio, impietoso, della fine arrivata troppo presto. È morta in piedi, lottando, continuando a vivere e a progettare. Carica di interessi e aspettative, fiduciosa nel prossimo. Emma Bonino, sua compagna di partito, la ricorda così: «Una persona politica nel senso alto del termine. Di grande intelligenza, arrivava subito all’essenza dei problemi con il suo linguaggio, evocativo ma non disordinato come quello di Marco Pannella. Mariateresa ha avuto la capacità di non essere mai né mediocre né conformista. E anche il suo carattere così insofferente e duro rendeva più difficile amarla, però anche più prezioso». Nel suo percorso si coglie l’incompletezza di una vita interrotta sul più bello, una incompletezza che si legge benissimo anche nel romanzo, quasi profetico, quella dell’amore mancato che percorre e colpisce l’intera famiglia di Chiara (voce bambina che racconta la storia), i D’Auria, c’è questa impossibilità di vedersi felici, appagati nei sentimenti, una mancanza enorme, che diviene unicità. Mariateresa Di Lascia ha reso reale questa assenza che si apre dentro molti e che spesso non vediamo o fingiamo di non vedere, l’ha svelata, consegnandocela in un romanzo che bordeggia la perfezione. I paragoni si sono sprecati da Anna Maria Ortese a Elsa Morante, ma tolta qualche coincidenza e un debito pagato all’inizio del racconto con quest’ultima, il gioco di associazioni ci appare fuori luogo, anche perché si ripete sempre uguale, basta raccontare una storia al femminile per essere caricati dal peso dei giusti antenati. A rileggerlo oggi il suo romanzo consegna un esercizio singolare di scrittura, una prova riuscita, tenuta insieme dalla grazia, dalla compiutezza del racconto. Ma se la protagonista di “Passaggio in ombra”, Chiara, è anchilosata e raggiunge la saggezza della vecchiaia, Mariateresa è stata sempre in movimento fino alla sua uscita dalla vita, con l’immediatezza della giovinezza, non si è mai arrestata o fatta fermare da vincoli, si è presa quello che voleva, che meritava, poi è andata via con dignità e forza d’animo. Quando seppe del cancro disse a Sergio D’Elia: «faccio sempre le cose per bene». Questo suo coinvolgersi e coinvolgere, è davvero difficile da replicare o da incontrare. Aveva la meticolosità delle donne che salvano il mondo facendo bene le cose, piccole o grandi, trascurando ruolo e importanza, l’imperativo era fare con passione, cura, dolcezza. Così è stato.
Biografia
Scomparsa a quarant’anni il 10 settembre del 1994, Mariateresa Di Lascia si è sempre battuta per le cause della democrazia e dei diritti civili e umani all’interno del Partito radicale, di cui è stata anche vicesegretaria nel 1982 e deputato della nona legislatura. È stata fondatrice della Lega Internazionale Nessuno tocchi Caino per l’abolizione della pena di morte nel mondo. Nel 1988 aveva scritto il romanzo La coda della lucertola, che allora non volle pubblicare; dal 1988 al 1992 si è dedicata alla stesura di questo romanzo; ha poi composto quattro racconti, di cui uno, Compleanno, ha vinto il Premio “Millelire”. Il suo nuovo romanzo, Le relazioni sentimentali, è rimasto incompiuto. Passaggio in ombra ha vinto il Premio Strega nel 1995.
[questo pezzo uscì su IL MATTINO nove anni fa, faceva parte di una serie di biografie di italiane e italiani da ricordare, per le donne scelsi Camilla Cederna e Maria Teresa di Lascia]
Pensa te che dall’anno scorso che sono in cerca di, articoli, commenti e altro su,MT Di Lascia, la cui lettura di Passaggio in ombra è un anno che mi insegue, tanto mi è piaciuto quel romanzo, che non ricordo perché ho cercato nell’autunno dell’anno scorso. Sono andato con la mente agli annotare 90, all’associazione Ulisse e il primo impegno politico di quegli anni e del giovane segretario del Pds. “Passaggio in ombra” mi è piaciuto proprio assai, in particolar modo il personaggio di Donna Peppina, solo chi è vissuto un nostro paese comprende e si immagina bene quella donna. Pensa che ad un certo punto volevo scrivere a Giuseppe Tornatore, che se cercava un soggetto per un film sul Sud, Passaggio in ombra poteva essere un capolavoro. La prossima volta chiedo prima te.