Willets Point è tutto quello che non ti aspetti a New York, il contrario della città romantica, un posto così potrebbe piacere a Jim Jarmusch e Tom Waits, difficilmente a una coppia in viaggio di nozze. Per il sindaco Bloomberg – che prova da anni ad abbatterlo – è «another euphemism for urban blight», per chi ha bisogno di un pezzo di ricambio: la soluzione di tutti i problemi, e non si chiede se non ci sono le fogne e le strade fanno schifo, se hai una vecchia auto e devi tirare ancora avanti con quella, Willets Point è il paradiso. Un supermercato di carburanti, marmitte, pistoni, gomme, motori, dalle moto ai camion: perso nei garage dipinti a bandiere, tra umido e pance di meccanici ispanici, che da un lato smontano, dall’altro assemblando una auto da corsa. Basta chiedere, cercare, aver tempo. Buona parte della auto che hanno corso sulle strade americane, che hanno fatto sognare adolescenti e portato storie a casa, sono qui, deposte, in questo Iron Triangle nel quartiere Corona, Queens: ferro e lamiere, olio e attesa di essere rimesse in circolo. Per capire Willets Point dovete immaginare uno scasso enorme e intorno officine meccaniche pronte a tutto, con il linguaggio e i costumi di
Città del Mexico, San Paolo e Napoli alla fermata della metro di New York: Shea Stadium, il resto vi entrerà nelle narici e vi occuperà gli occhi. Scheletri di auto, piccole rimesse zeppe di pezzi di ricambio impilati come barattoli di birra, macchine cofano aperto ancora tutto da sbagliare, topi e spazzatura, murales su capannoni di stagno saracinesche chiuse e motori che rombano a mille tra rap suonati da old radio e giri di gas e facce tra mucchi di cenere e plastica bruciata. Anche se non avete una vecchia Gran Torino da rimettere in strada, vi basterà aver visto Starsky e Hutch per passare un giorno diverso lontano dalla New York di tutti. Willets Point urla diversità, e non ha angoli di silenzio, tra i saldatori delle officine, gli smantellatori di camion, quelli che provano le marmitte, i meccanici che come in un suk ti chiamano per mostrarti la merce: venderti pezzi, ragazzini che ti corrono incontro più che a Mumbai (chi ha visto il film “Chop Shop” di Ramin Bahrani, non si meraviglierà), la metro che sferraglia e un mucchio di aerei che passano sopra teste per atterrare al Fiorello La Guardia, poco distante. Willets Point è America del passato, con specchi d’acqua quando piove e fango, macchie d’olio e auto che sgasano, machismo avvitato su una unica possibilità di sfangarla, e che passa, corre, su una vecchia macchina da rimettere in sesto. Se non entri in questa ottica non capisci l’anima del posto, e vedi solo quello che disturba chi deve speculare su quella zona. Dove son tanti a stare, come pulci su un vecchio malandato cane, ma uno solo a viverci, risiedere, Joseph Ardizzone. E la sua storia, da sola, vale il viaggio (un biglietto della metro di NY). Ardizzone si oppone al piano di demolizione della zona ed è anche l’unico ad averne diritto, come anche di lamentarsi. È uno di quegli americani cocciuti, ruvidi, duri da approcciare, camicia arrotolata sulle braccia, capelli persi presto e sguardo che ti mette in difficoltà. Capite facile perché non ha vicini di casa, se si escludono Mario’s Auto
Radio e Q. C. Iron Works. Quello che colpisce, nonostante in estate la puzza che sale dal Flushing faccia lacrimare, è l’ostinata volontà di Ardizzone di difendere le 1200 persone (stimate) che lavorano per le 225 imprese di Willets Point, che verrebbero spazzate vie dal piano di riqualificazione del Comune di New York. La famiglia Ardizzone è stata tra le prime ad arrivare qui, dall’Italia, lui è nato nel ‘32 nella casa costruita da suo padre: mattoni e nostalgia. Joseph è cresciuto in mezzo alle auto «fanno parte della mia vita, erano grossi giocattoli, mia sorella che vive in Florida, invece, non capisce. Se ci fossero i servizi elementari questo posto sarebbe migliore e il suo fascino non si mischierebbe alla puzza». Ardizzone è l’anima di Willets, la guida turistica e il mediatore nelle dispute tra lavoratori, una autorità riconosciuta da tutti gli stranieri che qui trovano una patria, non conoscendo ancora la lingua ma parlando con le mani nei cofani. È una guardia giurata, ma in passato aveva un ristorante che ora è un deposito di macchine. La disputa col comune continua, in tribunale. Ardizzone difende lo scippo della sua infanzia e del futuro dei meccanici ispanici senza nome, come si difendono i sogni, senza mediazione.
[uscito su RIDERS dicembre 2010]
Foto di Maria Vittoria Trovato