I due allegri indiani

AVT_J-Rodolfo-Juan-RodolfoWilcock_6535Se la verità sulla letteratura italiana dovesse arrivare dalle raccolte dei giornali, dai loro allegati, dai corsi di scrittura, allora questa non vedrebbe mai la luce, e scrittori come Juan Rodolfo Wilcock rimarrebbero nascosti, dimenticati, sconosciuti. E, invece, Adelphi ripubblica il suo libro più bello: “I due allegri indiani”, e il singolare mondo dello scrittore argentino che scriveva in italiano, riemerge. La sua scrittura, unica, esce con prepotenza, e se si apre il libro, è impossibile non ascoltare la sua voce, piena di tonalità, brio, destrezza, fantasia. Wilcock è multiforme e molteplice, il suo mondo ha infiniti piani, le sue storie sono incroci, dove ogni capitolo è uno scambio di mondi. Le pagine sono porte girevoli di accesso a un grattacielo: e che voi scegliate scale o ascensori: per ogni piano ci sarà una storia, per ogni storia un labirinto e via così. E nemmeno basta. Perché il filo lo tiene l’ironia, e persino a Wilcock a spiegare alla radio la sua storia veniva difficile: “Questo romanzo è così complicato che non si può assolutamente spiegare con parole di che si tratta, perché sono molti livelli di struttura e anche di azione, perché come forse le ho detto, essenzialmente si tratterebbe di una rivista di ippica che decide di far pubblicare un romanzo a puntate e allora affittano una persona o la prendono stipendiata, mettono un’inserzione e questo dovrebbe fornire le puntate”. Il protagonista del romanzo si chiama Vincenzo Frollo ma “per le collaborazioni letterarie di qualità” si firma Fanalino di Coda. Ma il libro è pieno di queste sottigliezze, come di citazioni, e Wilcock è uno scrittore di rimandi, ogni capitolo è una mano di poker, le carte son sempre quelle, i personaggi pure, ma cambiano gli accoppiamenti, e quindi le storie. Lo scrittore procede per accumulo, mette insieme di tutto, citazioni alte e basse, pubblicità romanzi letti e tradotti (sì, faceva anche questo, e scriveva per Il Mondo di Pannunzio), notizie di cronaca, e molto altro. Crea e distrugge, edifica e abbatte, il libro potremmo dire che è questo. Una sapiente costruzione di una storia e la sua distruzione. Wilcock ha capito che la letteratura è gioco, sarà per questo che non si è mai impegnato per i suoi libri, sapeva che era tutto inutile, e forse, sapeva che erano talmente fuori dai canoni (di ieri, e soprattutto di oggi) da non avere scampo né mercato. No, niente avanguardia, ma pura letteratura, divertimento. Il romanzo è pieno di interruzioni come le nostre vite e usa la corrispondenza come oggi usiamo le e-mail, in maniera ossessiva. Uno potrebbe aprire il libro a caso leggere una pagina e richiudere senza mai rimanere deluso, è come “Il gioco del mondo” (Rayuela), di Cortázar o come direbbe Wilcock: “eterno tentativo della creazione in lotta con la morte”. E comunque vale la pena leggerlo anche solo per le circolari o i quiz che ci sono tra le tante altre strambe pagine.

[uscito su IL MATTINO]

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2 thoughts on “I due allegri indiani

  1. […] musica del tango ancora nei piedi, Matteo Campanari, cammina, in una notte d’ira, inganni e pioggia passata, tenta una fuga in versi da una realtà […]

  2. […] sfancula De Benedetti –, no, l’irregolarità gli appartiene, e appartiene alle sue amicizie. Juan Rodolfo Wilcock: «andavo a trovare in una casa lungo la Prenestina che era il contrario della sua scrittura, il […]

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