Tutto comincia all’Hotel Monteleone di New Orleans, quartiere francese, il mio uomo ha deciso che mi racconterà la sua storia al bar di Capote, Truman Capote, quello di “A sangue freddo”, e ci beviamo su Martini anche noi, ma voliamo più basso, molto più in basso. Fuori ho una Dodge nera, a noleggio s’intende, e più tardi arriverà il mio amico Paulo, fotografo portoghese, da anni mette in posa la gente davanti ai fiumi, poi registra la loro storia, solo voce, per tutto il resto ci sono le foto. Se state pensando a lui come a un tipo piuttosto strano, vi levo ogni dubbio: è così, è piuttosto strano. Con un lavoro sul Nilo c’ha vinto un premio prestigioso, tutti pensavano che smettesse. Lui, non solo non ha smesso, ma è passato a un altro fiume, e quando mi ha detto Mississippi, non potevo dirgli di no. Ho risposto a modo mio: «L’hai letto “Strade blu”?» E lui sempre uguale, come mi risponde ormai da anni: «Serve?» Ora è a San Francisco, deve fotografare Ferlinghetti, sono due giorni che manda messaggi di una contentezza ma una contentezza che potrebbe essere la mia se fossi a cena con Maria Sharapova. Ma sono a New Orleans e anche io devo finire un lavoro prima di poter riprendere la mia Dodge e fare il viaggio lungo il fiume con Paulo. Il mio uomo si presenta, somiglia ad Allen Ginsberg, ma è meno spirituale, e con una giacca a quadretti che ho visto indossata solo dai clown, avanza con una bella falcata nonostante l’età e la barba bianca, viene dritto da me come se mi conoscesse già, e dice: «Sono io, Ben, l’uomo che trasforma in merda tutto quello che tocca». E lo dice proprio mentre mi stringe la mano. Alé, penso. Ma sorrido. E poi chiedo:
«È il suo motto?»
«No, la storia della mia vita».
È un chimico, ha fatto una scoperta importante nel campo della plastica, con i soldi del brevetto si è messo in proprio, poi ha comprato due Hotel, mentre lo dice mi accorgo che l’uomo che stringe la mano a Frank Sinatra in una foto di tanti anni fa, appesa al muro, è lui, da giovane, allora gli chiedo: «Però Sinatra non si è trasformato in merda». Butta giù il Martini e ridendo mi fa: «Potrebbe essere una foto falsa». Rido anche io. Il racconto continua, con i punti delle sue mani di poker, quelli sempre inferiori ai suoi avversari, la caduta economica, la moglie che lo lascia, la tentata rapina in banca, il carcere, la redenzione, la sua autobiografia: “Zuppa di gatto con pistole”, i produttori che vogliono farne un film con Jim Carrey, ma ancora niente. La sua pazza pazza storia d’amore con Miss Louisiana, «Mi amava davvero nonostante la differenza di età», e quando chiedo:
«Ben, aveva i soldi in quel periodo?»
«Ok, non posso negare, però mi sentivo molto meglio di Clinton nello studio ovale», «Ci credo mica le han chiesto di raccontare che faceva davanti a milioni di persone». Ride, poi rilancia, «Credimi prima di lei pensavo che il Paradiso fosse una banca da rapinare, prima ancora che fosse un casinò dove non perdi mai, ma lo scopri ogni volta solo a fine serata, adesso ti dico che era lei, il paradiso. Ed era una nera. Hai presente l’hostess di “Jackie Brown”, il film di Tarantino?»
«Sì, Pam Grier».
«Bravo, una così, ma mettici anche la modella, come si chiama quella che Tyson ha scopato in auto?»
«Naomi Campbell?»
«Sì, puoi giurarci, il paradiso è una donna nera, e ti sta addosso», dice chiamando il cameriere e ordinando un altro Martini, per entrambi. Io penso alla noia di Borges che s’immaginava il paradiso come una specie di biblioteca, agli ebrei che dicono in paradiso noi faremo la nostra vita normale, solo con una tazza appena un po’ spostata, agli islamici che la mettono giù con tutte quelle vergini, ai ragazzi neri di Harlem che direbbero musica e un campo di basket, io mi accontenterei sempre e solo della Sharapova, che è donna, ma non è nera, ma non lo dico per non rovinare il paradiso di Ben. Quando finisce l’intervista, riaccendo il telefonino, guardo i messaggi e ce n’è uno di Paulo che dice: non volermene socio, ma ho conosciuto una che è il paradiso, di lasciarla non me la sentivo, dammi qualche giorno e arrivo. Penso: devo riflettere seriamente sull’aldilà, ma rimando, perché ho bisogno di un posto dove dormire. Odio i piani che vanno all’aria, ma non riesco ad essere incazzato con Paulo. Ho anche troppo Martini nello stomaco, e solo qualche oliva che nuota solitaria, devo mangiare e poi dormire, domani ragionerò sulla ricerca di qualcosa da fare e anche se cambiare piano. Potrei tornarmene a New York, e lì non sarei né solo né annoiato. Ma entro in un locale, mi piaceva l’insegna: una Mary Poppins succinta che ha un hamburger come ombrello. La cameriera mi sorride, io mi sento a casa, prendo il loro panino speciale, una grossa birra, e vorrei dirle che il paradiso potrebbe stare da queste parti. E alla fine le racconto davvero la mia giornata, e lei ricambia con un’altra storia, più assurda di quella raccontata da Ben, questa.