Il paradigma fondamentale di Stefano Sollima è che – quasi per autodefinizione – si tratta dell’unico regista di genere (italiano), o almeno così pare a leggere i giornali. Unica vedette cinematografica che salta dalla tv al cinema come se fossero collegate dal corridoio di casa sua. “Suburra” è annunciato come un film che – diverrà pure serie per Netflix – deve svelarci delle verità assolute, toglierci dal buio del dubbio, farci capire la deriva romana, ma finisce per essere solo l’ennesimo estenuante film che ripercorre – sorpassato – la realtà. Dice che arriverà l’Apocalisse, però, si tratta “solo” delle dimissioni del Papa e di Berlusconi. E viene da ridere per come Roma sia capace di digerire tutto: dalla coda alla vaccinara a Carminati, dai Casamonica a Marino, passando per i parlamentari italiani e Sollima.Il film ci mostra quello che già conosciamo, senza invenzioni, senza sussulti, e con dialoghi pessimi. Se le scene d’azione sono girate bene, anche se con credibilità zero (la sparatoria al centro commerciale meritava almeno un paio di guardie giurate, anche obese, da far passare tra una pioggia di proiettili e una colata di sangue dal banco surgelati). È così Sollima – già venerato maestro – si distrae, è bravo ma non si impegna. Il solito (due facce) Pierfrancesco Favino fa l’onorevole Malgradi – qualcuno deve spiegare a Rulli e Petraglia che si può essere corrotti anche chiamandosi Rossi o Rosi – col passato missino sotto la maglia di lana, una croce celtica che vale più d’una assicurazione sulla vita anche se deve arrendersi davanti alla Magistratura (sempre giusta); Elio Germano fa Leopardi a Roma che ha ingoiato Tarantini ma è rimasto timido con le donne, sua la battuta peggiore di fronte all’invito a scopare della escort che ospita in casa: «No, ma grazie del pensiero»; e poi Claudio Amendola che fa Carminati ma si chiama Samurai, ha entrambi gli occhi per indossare occhiali da colloquio rassicurante nelle stanze vaticane, barbour e una agenda andreottiana per tenere sotto controllo i vizi della capitale, e nonostante questo: risulta il migliore – mai avrei pensato di scriverlo –. Intorno a loro tre, e quindi al cinema italiano, ruota tutto il film, con altri personaggi minori come Numero Otto che è la controfigura del Freddo Kim Rossi Stuart maglianesco, biascica mentre minaccia, e poi ripete alla moviola le frasi salienti come: «Te nun sei niuno», «Viola è roba mia», «Perché te tocchi sempre er cazzo?» Persino la casa degli zingari casamoniceschi è telefonata come un libro di Veltroni, col cane addestrato per mangiare i nemici, e i “bravi” manzoniani che se la spassano al centro estetico – sarà citazione da Gomorra? – per l’eternità. La contemplazione degli abissi, sì, Roma sembra Atlantide, l’acqua la sommerge, anche se Amendola esce in scooter e se ne frega dell’Apocalisse forse perché ha le chiavi della città e sta per fare di Ostia la nuova Las Vegas. Mancano le fiamme e i sussulti, mancano i risvolti psicologici – non basta un onorevole che copra il figlio tornando a casa dopo una orgia –, manca la capacità di individuare la costanza del male che fiammeggia nei Palazzi romani dai tempi degli imperatori a quello presente dei presidenti. Il tentativo di fare cronaca a cinema non paga, bisogna andare oltre, immaginare trame differenti, agire per archetipi, inventarsi altro, altrimenti si scade in una arena sociologica che pare quella della D’Urso e di Giletti, anche se ha la patina dell’HD, e le giuste sequenze tra un ponte e una festa, la maestà del cupolone e quella di una Porsche che sgomma via, data in pegno agli zingari per debiti paterni. Il fondale antropologico con mire altissime si riduce ad essere stressato da una storia che è vecchissima, ed è riassumibile in poche righe di giornale: tra ricatti, appalti e miseri abusi di potere battiateschi. Mancano le maschere, manca la forza delle battute e manca la profezia.
Non ho visto il film e non lo vedrò, quindi non posso giudicare obiettivamente la tua recensione ma mi fido. Non lo vedrò per vari motivi, i principali: non mi va di spender soldi per vedere cose già viste, non mi piace l’autocompiacimento della denuncia del mondo infame, diffido dei cast troppo romaneschi, finisce sempre a “volemose bene” .
grazie per la fiducia 🙂
Sollima dopo Romanzo Criminale la serie doveva smettere.
già mi è bastato romanzo criminale film e serie per capire a che livelllo è il nostro cinema-fiction tanto esaltato da piu’ parti.Sicuramente non lo vedro’ già per il fatto che c’ è Claudio Amendola che non sopporto minimamente poi dopo una simile recensione (scritta in modo impareggiabile come sempre) la sentenza è scritta…
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