In un secolo sono cambiate cadenza e modalità, regole e squadre, ma è rimasto intatto lo spirito da torneo piratesco, dove il Paraguay può affrontare alla pari il Brasile e batterlo. Perché in Copa America succede di tutto. E, volendo racchiudere i suoi cento anni in un tweet, parafrasando Gary Lineker – l’attaccante inglese da citare sempre per i mondiali – possiamo dire: è il più vecchio torneo del mondo, dove può succede di tutto e alla fine vince l’Uruguay. Prima di Jules Rimet, un giornalista uruguayano Héctor Rivadavia Gómez, un po’ per sogno un po’ per gioco diede inizio a un torneo tra nazioni sudamericane che non era ancora la Copa ma lo sarebbe diventata (la prima edizione quella del 1916 si giocò senza trofeo, in Argentina e vinse l’Uruguay), fino agli anni 70 si chiamerà: Campeonato Sudamericano de Football. L’anno dopo si rigiocò ma in Uruguay e vinsero i padroni di casa – intanto in una gioielleria di Buenos Aires era stata creata la Copa, costava 3000 franchi e sembrava un vaso greco –, solo al terzo tentativo, nel ‘19, vinse il Brasile. A riguardare ora le facce e le magliette, si percepisce l’evasione appassionata, la gioia da pallastrada, e anche la mutazione calcistica. A voler fare un album dei calciatori che l’hanno segnata e vinta, si scopre che i due più grandi del secolo Pelé e Maradona non hanno alzato la Copa, anche se il brasiliano segnò 8 gol nell’edizione del ‘59, ma i capocannonieri sono altri, il record appartiene a Jair (‘49), all’argentino Humberto Maschio (‘57) e all’uruguayano Javier Ambrois (‘57), tutti con nove gol. Perché la Copa America è un mondo (calcistico) a parte, ogni partita è una rivoluzione, ogni edizione contiene il sintomo di un mutamento che si manifesta attraverso fuochi d’artificio e carnevali, febbri, guerre, sommosse e colpi di stato. I nonni degli attaccanti di oggi che tutti vorrebbero in squadra – perché la Copa America serve anche come grande catalogo illustrato dei calciatori da scoprire e portare in Europa – erano Héctor Scarone e Arthur Friedenreich. La prima vittoria dell’Argentina è del ‘21 con gol di Julio Libonatti – che può essere considerato l’iniziatore della scuola rosarina che arriva a Lionel Messi passando da Menotti, Bielsa, Di Maria, Icardi, Banega, Javier Felipe Guzmán – e molti (150) ne farà anche nel Torino scavalcato solo da Paolo Pulici (172). Fino al ‘39 il torneo fu una storia a tre, nel senso che lo vincevano Uruguay, Argentina e qualche volta il Brasile, mostrando calciatori e calcio migliori, rifilando gol e subendone pochi, secondo la regola che continua a dominare il calcio: prima non prenderle. Nel ’39 la novità è sulla panchina del Perù, dove si siede un inglese: Jack Greenwell, complice la guerra civile spagnola che lo porta in Sudamerica, lui che aveva allenato il Barcellona si ritrova la nazionale peruviana, in un torneo a cinque nazioni senza Brasile e Argentina, e con i sette gol di Teodoro “Lolo” Fernández, portano il Perù a vincere per la prima volta; poi rivinceranno nel ’75. Ma nell’edizione del ’39 vanno ricordati due calciatori: il portiere cileno Sergio Livingstone – che ancora ha il record di presenze nella competizione – e soprattutto l’esordio della leggenda Obdulio Varela (Osvaldo Soriano gli ha fatto il miglior ritratto possibile) che giustiziò il Brasile ai mondiali del ’50 (aveva vinto il Campeonato nel ’49), quelli che fecero piangere molti milioni di brasiliani tra cui il padre di Pelé e da lì la promessa mantenuta poi dal calciatore in Svezia. Nel ’47 il torneo, la coppa e le partite hanno un solo nome, quello di un ragazzo argentino di 21 anni che corre più di Speedy Gonzales, la “Saeta Rubia”: Alfredo Di Stefano. Nel ’53 il Paraguay vince battendo il Brasile, il suo miglior giocatore è un difensore, Heriberto Herrera (HH2), il “Ginnasiarca”, come lo chiamava Gianni Brera, che suppliva alla carenza di classe con l’invenzione tattica, un modulo che definiva “el movimiento” e che creava un tic all’occhio sinistro di Gianni Agnelli ogni volta che diceva: «Giuventus». Poi fu il tempo argentino del triunvirato Maschio-Sivori-Angelillo. Mentre nel ’63 vinse la Bolivia, si disse grazie all’altura, anche se il motivo fu che le grandi snobbarono la competizione. Ma il Campeonato poi Copa è stato anche “il contesto” che ha visto calciatori dispari come Alberto Spencer dell’Ecuador, dribblomaniaco e detentore del maggior numero di gol in Copa Libertadores col Peñarol. Dopo una pausa di otto anni arrivò la Copa America, e per non smentire la sua natura: vinse il Perù, squadra irripetibile che aveva Teofilo Cubillas, Juan Carlo Oblitas, Hugo Sotil che giocò pure con Cruyff e l’imprevedibile Geronimo Barbadillo. Per vedere un’altra edizione così, bisogna aspettare l’87 con l’Argentina di Maradona reduce al mondiale messicano, il Brasile nel quale si affacciava Romario e davanti aveva Careca, la Colombia di Higuita e Valderrama, l’Uruguay di Francescoli (che poi sarà l’idolo di Higuain) e Ruben Sosa e il Cile di Zamorano; vinse l’Uruguay – che però come paese ospitante accedeva direttamente alla semifinale: sì, tipo regole della pallastrada benniana, poi le cambiarono –. Nell’89 Maradona non riesce a vincere, ma col Paraguay fa l’esordio Neffa che giocherà nella Cremonese e poi diverrà il nome di un cantante italiano. Si gioca ogni due anni, e la Copa sembra aver trovato una stabilità; nel ’91 e nel ’93 l’Argentina di Batistuta vincerà le sue ultime edizioni della Copa, da allora è a digiuno. I bienni successivi furono brasiliani, c’era Ronaldo, anche se in quella del ’99 tutti ricordano i tre rigori sbagliati da Martin Palermo: un Chinaglia argentino con la faccia da Califano. Il resto è Hugo Chávez che porta la Copa in Venezuela e prima la Colombia che vince tra un doppio sandwich brasiliano, interrompendone lo strapotere. Infine la sorpresa cilena di Jorge Sampaoli. La Copa arriva negli Stati Uniti in un processo che l’ha portata a contagiare il continente con la sua febbre, conservando la sua natura da corsa in auto con Juan Manuel Fangio: stupore in ogni curva.
[uscito su IL MATTINO]
[…] dimensione geografica e al contesto che produce calcio. Molte cose le racconta già l’albo della Copa América: l’Argentina non vince dal 1993; il Brasile dal 2007; l’Uruguay dal 2011; la Colombia dal 2001; […]