Enzo Ferrari era un tiranno: della velocità e dell’immaginazione, capace di vivere a cavallo del tempo e del vuoto, senza mai scomporsi. Uomo determinato, ebbe sogni, illusioni ed ebbrezze, che trasformò nell’auto che ancora oggi è il desiderio di tutti. Ma il suo obiettivo era il futuro, per questo visse in solitudine, anche se il suo nome era sulla bocca di tutti, perché proiettato costantemente in un tempo che vedono in pochi, non ancora abitato. La sua biografia è stata raccontata mille volte e mille altre volte la si potrebbe ri-raccontare, perché appartiene al genere di uomini che modificano il paese dove nascono, la storia di quel paese e le persone. Senza Ferrari e la Ferrari, l’Italia sarebbe più povera non avendo da esibire un Lorenzo il Magnifico che trafficava con i motori, e prima c’aveva corso, per poi inventarne di nuovi e far correre gli altri. Si definiva “agitatore di uomini” ma è riduttivo, è stato un visionario che dal nulla ha creato un mondo, quello delle Ferrari, che lo contiene ancora, e che sempre lo conterrà, ogni volta che qualcuno farà girare la chiave di una delle sue creazioni – tutte gli appartengono, anche quelle venute dopo – lui respirerà. Enzo Ferrari è stato un italiano atipico, un provinciale capace di leggere il mondo, un antipatico come Carmelo Bene, perché concentrato sul suo progetto al punto di non avere tempo per altro e per gli altri. Era un re, secondo uno dei suoi piloti, l’americano Philip Hill, che nel 1961 vinse per lui il Campionato del mondo di Formula 1. E “Ferrari Rex” (Giunti e Giorgio Nada editore) è il titolo di questa nuova biografia scritta da Luca Dal Monte. Ne viene fuori un Ferrari inedito, con nuove storie, nuovi dettagli, una vera biografia di stampo anglosassone, con testimonianze, fotografie, ricordi, ricerca su quotidiani, riviste e carte private, che si può leggere un po’ come album di storia un po’ come romanzo. Un librone che non lascia nulla indietro, seziona la vita e le ore del Re, le sue corti, i suoi piloti, le sue corse, le auto, gli amori, e i dolori. Una vita shakespeariana, «Io in fondo non sono niente, sono solo uno che ha sognato di essere Ferrari», che si è svolta da Modena a Modena, una esistenza circolare, sì, proprio come il tracciato di una pista, dove ad ogni curva c’era una sua statua, che lui superava senza dare al fatto molta importanza. Ferrari – al quale manca un romanzo, servirebbe un Gadda – è stato un monarca che poteva avere tutto, e per fortuna di molti quel tutto cominciava e finiva nella sua fabbrica, che non è stata mai una fabbrica comune e mai lo sarà. Dal Monte riesce a cogliere i numerosi volti di Ferrari, le sue abilità e i suoi difetti, restituendo al lettore la storia di un uomo dispari, senza paragoni, senza eredi, se non nella sua auto. «Sono peggio di tanti altri, ma forse ce ne sono pochi migliori di me». Era cresciuto misurando il vuoto del padre e del fratello persi in poco nel 1916, la donna che lo amò tutta la vita non riuscì a sposarlo, e il figlio Dino che adorava morì a 24 anni. Per questo come il Carlo Martello di De André – Villaggio amò in corsa molte donne, disperdendo l’ardore in cerca di un sentimento ormai perduto. Quello che non perse mai fu la voglia di vincere, fuori e dentro le piste, fuori e dentro Maranello, fuori e dentro le sue auto, una febbre che lo portò a non cedere il passo nemmeno a Benito Mussolini, sulla Modena-Sassuolo, costringendolo all’ammissione: «Mi ha dato una lezione di guida». Ferrari era il respiro lungo di un paese che doveva immaginarsi e costruirsi, e ci riuscì. L’esempio ultimo, grandioso, di un “Moloch meccanico” come dirà Edmondo Berselli. Un uomo duro, che ha vissuto come i suoi piloti, sfidando la morte e battendola ogni volta che un suo motore romba.
[uscito su IL MATTINO]
[…] occhialoni impolverati avrebbe definito come: «Manico», replicando gli insegnamenti del padrone, il Rex, l’Enzo Ferrari, che gli avrebbe risposto con una frase che tutti i piloti della Rossa dovrebbero sapere a memoria e […]