Come le boe apparteneva sia ai porti che ai moli, questa doppia condizione gli aveva permesso di cucire un mare diviso in tre continenti, tre religioni, e troppe lingue: il Mediterraneo. Archivio e sepolcro, per ogni corrente un destino, per ogni onda una storia, e Predrag Matvejević le aveva (rac)contate. Aveva cominciato con i fiumi, da ragazzo, per poi arrivare al grande mare. Nel breviario c’era la sua vita e le vite che aveva incrociato, da Ulisse russo-croato, si portava dentro l’apertura paterna di Odessa e l’introversione materna di Mostar, non è mai stato un marinaio né un guardiano di un faro, ma avrebbe potuto. È stato professore in tutte le università più importanti dl’Europa, conservando quell’aria provvisoria di chi sa che deve imbarcarsi ancora, e partire. Tra una università e l’altra, tra un porto e l’altro, scriveva, raccontano dei suoi appunti presi ovunque, delle sue tasche piene di foglietti, e di come inseguiva continuamente il suo istinto, che adesso va riletto, ricomposto, perduto come è nelle sue pagine. I suoi libri nascevano dalla concretezza delle cose nelle quali si calava, dalle pietre ai sapori. Suo padre, un russo di Odessa (oggi Ucraina), incarcerato dai nazisti, lavorava alla costruzione di un tronco ferroviario e raccontava sempre una storia. Una sera, più fredda di altre, un pastore protestante chiese che il gruppo di prigionieri (di cui faceva parte il padre) fosse accolto nella sua casa, riscaldato e rifocillato. E per tutta la vita suo padre gli aveva descritto il pane che ebbe, lo stacco dal dolore che aveva provato. Poi, quando furono i tedeschi ad essere fatti prigionieri, nonostante le difficoltà, il padre mandava di nascosto Predrag bambino a portare del pane a quei reclusi. Anni dopo Aleksandr Solženicyn gli confidò che anche dopo l’uscita dal Gulag teneva sotto al cuscino un pezzo di pane, era il suo paracadute. Predrag segnò su uno dei suoi foglietti il ricordo e lo aggiunse agli altri, a quelli di suo padre, così nacque “Pane nostro”, un altro libro. Perché scrivere significa saper contare: le piogge e le albe, le vite degli altri e i pozzi col sale e senza, e il colore della terra che cambia e cambia. Il faro era lui, che contava quelli disseminati lungo le coste e sulle isole, persi, dimenticati, caduti o ancora in uso ma senza gloria. È andato oltre i generi senza farne vanto, ha regalato al mondo un libro su una discussione che dura da secoli, provando a farci stare dentro proprio quello che di buono si era detto in quei secoli e quello che di bello aveva visto lui navigando. Il suo “Breviario Mediterraneo” è uno di quei libri che potrebbe fondare una nazione, ma lui aveva guardato più in là immaginando il mare come unione di tre continenti. Ha superato lo spazio geografico e i limiti storici e culturali e soprattutto temporali, cercando la bizzarria enciclopedica, immaginando di accorciare latitanze e bonificare conflitti, costruendo un romanzo del reale che esplorava il passato per modificare il futuro. È stato un uomo libero che pur nato nel marxismo si è trasformato in una voce critica, la sua rivoluzione era diversa, quella di un poeta cosmopolita che riconosceva le soggettività e si opponeva alle totalizzazioni. Disegnando con le parole il Mediterraneo ha provato a scrivere una nuova storia, inseguendo piste perdute e raccontando di porti scomparsi, leggendo-lo si sentono gli odori e soprattutto i suoni che avvolgono il grande mare, vivi e morti convivono in uno spazio che è oltre-terreno, dove favola e storia si annodano, pesca e preghiera si confondono, e dove c’è un solo grande popolo del mare che poi si perde per le terre. Amava le mappe perché è sulla carta che l’immaginazione corregge i suoi errori, inseguendo la precisione. Univa la scienza del mare alla sua poesia, mescolava versi e dati, sguardi e temperature, civiltà, dee e romanzi e lingue scomparse, senza tralasciare la natura delle nuvole o quella della spuma marina. Cuciva, cose apparentemente lontane, era il sarto del Mediterraneo.
E’ un testo bellissimo. Vero. E’ lui, Matvejević, il grande sarto del Mediterraneo.
sono felice del suo giudizio, per me Matvejević è stato molto importante, senza il suo insegnamento e la sua visione: non sarei andato per mare.
[…] pezzo di Predrag Matvejevic apparve su “IL MATTINO” il 22 luglio 2003. Se state leggendo queste righe vi siete già resi […]
[…] un linguaggio contemporaneo, ragiona senza la portata del Mediterraneo – non sa proprio chi sia Predrag Matvejević – e quindi oscilla tra la candidatura a un David di Donatello e quella a ministro degli Interni. […]
[…] ripetono, come i morti di Crotone, “il Mediterraneo è un cimitero”. Chissà cosa penserebbe Predrag Matvejević a sentire notte e giorno che il Mediterraneo è un cimitero. Ma il Mediterraneo non è un cimitero, […]