Archivio mensile:Maggio 2017

Gli scarpini di Totti

Quando il Thailandese vide Francesco “Stecca” Santoni alla sua porta con la scatola delle scarpe tra le mani capì che non aveva scampo. Se era arrivato a quel punto non c’era molto da discutere. Lo fece entrare e gli spiegò che doveva fare in fretta perché aspettava gente, e Stecca promise di non fargli perdere tempo, voleva solo proporgli un grande affare anzi il più grande affare della sua vita. Disse proprio così, come se fosse una cosa nuova, una sorpresa. Il Thailandese sapeva già di cosa si trattava, lo sapeva mezza Roma e anche buona parte dell’altra, quella laziale. E lo sapeva tutto il quartiere, l’unica cosa che non si sapeva era dove le avesse nascoste per tutti quegli anni. Al Thailandese venne quasi voglia di proporgli solo quella risposta piuttosto che il resto, Continua a leggere

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Drappeggiati e cuciti

Nel mondo esistono due tipi di civiltà, dichiarava solennemente Rossellini, che si distinguono in base al tipo di abiti indossati dalla gente. Da una parte c’è la civiltà dei «drappeggiati», e dall’altra quella dei «cuciti». Le persone drappeggiate tendono a essere rilassate, meditative, calorose, comunicative, più sensuali e meno alienate. Le persone cucite sono più efficienti, ma tendono a essere nervose, fredde, incapaci di esprimere le propri emozioni, sessualmente frigide e tendenzialmente paralizzate da un’implacabile malinconia. I greci e i romani, osserva, erano drappeggiati; i nordici cuciti. I cattolici di norma erano drappeggiati; i protestanti cuciti. E gli indiani? Per Rossellini, gli indiani erano la quintessenza della civiltà drappeggiata, come dimostrato da sari, dhoti e lungi. Ecco perché, teorizzava Rossellini, gli indiani cercavano di aprire la propria mente a ogni forma di conoscenza e ambivano a una sintesi poetica del mondo. Ed era proprio questo che lui intendeva mostrare nei film che avrebbe girato in India.

[Dileep Padgaonkar, Stregato dal suo fascino, Roberto Rossellini in India, trad. Anna Nadotti e Norman Gobetti, Einaudi, 2011, p. 71]
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Los Zetas, ovvero l’ultima lettera prima dell’inferno messicano

“Bienvenida la muerte” cantava Manu Chao a proposito di Tijuana, a leggere “Z, la guerra dei narcos” (laNuovafrontiera) di Diego Enrique Osorno, sembra che il benvenuto sia l’orrore. Raccontato senza sublimazione, elencato nelle sue assurdità, declinato lungo la linea di confine tra Messico e Texas, consumato dal gruppo narco-modernista Los Zetas, Continua a leggere

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Javier Valdez

L’agonia del Messico sta

in un cappello sull’asfalto:

caduta la testa

spaccate le costole

perforati stomaco visceri cuore

finita la paura e i tremiti

le carezze e gli sguardi Continua a leggere

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