Quando Antonio Conte, ai passati europei, assegnò la maglia numero dieci della Nazionale a Thiago Motta: tutti capimmo che i tempi erano cambiati e che a scorrere negli anni i nomi, di chi c’aveva sudato prima in quella maglia, sembrava un countdown per i fantasisti che finivano. Sivori, Rivera, Antognoni, Baggio, Albertini, Del Piero, Totti, De Rossi, Di Natale, Cassano, Motta. Così a farla breve. Si capisce che la maglia e il ruolo hanno oscillato tra fantasisti e centrocampisti con i piedi buoni, e dopo la scelta del CT Conte sembrava destinata ad una funzione diversa. Invece, l’altra sera, Lorenzo Insigne ha ristabilito priorità, facendo coincidere l’immaginario – quasi perduto – del numero dieci con la maglia e la prestazione. Per la posizione in campo bisogna trovare una mediazione tra quello che era e quello che è, tra lo spazio divenuto mobile e le vecchie assegnazioni di zolla, ma la notizia è che la Nazionale ha ritrovato un vero numero, quello più importante: il dieci verticale, come direbbe Stefano Bartezzaghi, quindi contando le caselle sulla prima pagina della settimana enigmistica, verrebbe: fantasista. Dietro la definizione non c’è solo la funzione – che il Lorenzo ha assolto tra ali di gloria e tunnel ai giocatori del Liechtenstein – ma la speranza, dell’improvviso esercizio della fantasia, appunto, a lungo scomparsa dalle fila della Nazionale. Trovandosi d’un tratto di fronte a Insigne, in una forma strepitosa, che verniciava avversarsi con giocate metafisiche, esercitando una superiore precisione di movimenti e passaggi, dribbling e tiri, infliggendo una vitalissima pressione a tutta la malcapitata difesa avversaria e non trovando nessuno ad intralciare i suoi riusciti progetti, il risultato è che tutti hanno rivisto uno che rendeva onore al numero che gli stava sulle spalle. Oltre la meraviglia, sono caduti a pioggia i ricordi, ognuno aveva il suo, e un tempo persino le squadre ne coltivavano un paio di numeri dieci, uno titolare e uno di riserva, per non lasciare mai a secco la posizione né la squadra. Col tempo, e con la trasformazione fisica del calcio, il ruolo e la fantasia sono diventati una sorta di reperto archeologico. Non era tanto il regista che mancava, ma il fantasista, quello capace di andare oltre modulo e schema, per salvare la partita, il più lucido degli esempi è Roberto Baggio che elimina la Nigeria a Usa ‘94. Per dire fino a qualche anno fa c’era Pirlo che faceva il fantaregista, tanto che Carlos Alberto Parreira – allenatore che vinse il mondiale col Brasile – disse: «Pirlo è uno Zico davanti alla difesa», non sapendo che in realtà c’era già stato Agostino Di Bartolomei visto da Nils Liedholm. È difficile che una Nazionale e un paese producano fantasisti, succede che per qualche giro di mondiali ed europei la maglia e la casella rimangano vuote o peggio vengano assegnate a Romeo Benetti, a Nicola Berti, a Salvatore Bagni o persino a Luigi De Agostini. E a guardare figurine, maglie e numeri si può capire molto di quello che eravamo come scorrendo le tabelle dell’Istat, tirandone fuori profili con e senza fantasia, e sebbene l’Italia schieri sempre gente di una certa classe calcistica, la prevalenza degli italiani va agli anni con la fantasia, fosse solo per quell’inclinazione del carattere (di tutti noi) che ama l’improvvisazione a ridosso del tracollo, quindi il guizzo che porta alla vittoria inaspettata. Con Insigne che fa da enzima e riunisce quello che era andato perduto, non solo Ventura trova un calciatore che innesta uno spirito d’artista tra le nebbie che talvolta marcano le sue scelte, ma tutta l’Italia può tornare a specchiarsi in quello che le appartiene: l’estro, che genera euforia, perché prima porta al gol. La fantasia è un elemento climatico che andrebbe tutelato, dentro e fuori dai campi, perché simbolo dell’emozione identitaria. Per molti suonerà strano ma c’è un legame tra il fantasista – in questo caso Insigne – che inventa un gol, un corridoio, un cross, e il paese che guarda, il paesaggio che lo circonda; e ogni volta che la fantasia si manifesta, tutta quella passata riappare con essa. Sarà pure vero che l’Italia non esiste perché somma di comuni, ma esistono gli italiani quando la Nazionale segna, per questo non bisogna andare in riserva di fantasisti.
[uscito su IL MATTINO]
[…] delle sere meno movimentate. Dries Mertens è un personaggio di Jean Giono, uno spadaccino; mentre Lorenzo Insigne – a sua insaputa – è una colonia d’emigranti italiani, secondo me anche con lui suo padre ha […]