Va a Berlino, Massimo Zamboni, in autostop con i passaggi democristiani – come se fosse un Nenni nella stanza dei bottoni – e con le medaglie di Lenin sul petto. Va un po’ ad occupare casa e un po’ a cercare se stesso, alla fine trova un lavoro in una pizzeria, e quello che diverrà il suo compagno di musica e gruppo: il mistico Giovanni Lindo Ferretti. Aggiungete lingua tondelliana di seconda classe, speranze comuni alla sua generazione e rivoluzione nello zaino. Ma arrivato “a quel Nord” trova fricchettoni e siciliani, con i secondi che gli insegnano veramente a vivere rispetto ai primi. Cercava la libertà, trova il rigore. “Nessuna voce dentro” (Einaudi), è un libro uscito la prima volta dodici anni fa, e riedito ora, ma che, nonostante l’editing e la riscrittura, continua a rimanere un ottimo documento privato e un pessimo libro, con schegge di scrittura da salvare e un contorno di impressioni confuse. Continua a leggere