Dopo il Sigmund Freud interpretato da Remo Remotti, in “Sogni d’oro” di Nanni Moretti, ogni altro Freud italiano non ha scampo. Il tedesco alternato all’italiano, la vendita (democratica) dei suoi libri in piazza come un Roberto Da Crema: con sconti, giuramenti e assalti alla madre, non lasciano spazio ad altri Freud. «Mi venisse uno sbocco di sangue, non potessi più trovare a casa mia figlia Anna, se non è vero che ci rimetto, siori». È così riuscita, la presa in giro, che non andrebbe insidiata. Per questo leggendo “L’interpretatore dei sogni” (Mondadori), di Stefano Massini, ci si annoia moltissimo. È il problema delle figure onnipresenti. Freud – mai morto – può essere parodiato, ma non ri-raccontato, perché continua a raccontarsi da solo. Remotti ce lo restituiva debole e schizofrenico, genio in lotta con se stesso per non apparire reazionario. Massini lo riporta con serietà, «a partire dall’alfabeto misterioso che leggo nei suoi occhi», ci fa sfogliare il suo quaderno-diario (dopo i libri e le lettere e i saggi su Freud) che ammicca ai Massimo Recalcati, e, nonostante i tanti sforzi attraverso i sogni dei pazienti e la scrittura sbarazzina di questi (con molti a capo e il corsivo), il risultato è un déjà-vu. «L’interpretazione di un sogno è resa spesso inestricabile dal fatto che è del tutto elementare». Storie di donne e macerie, stanze piene di casse di vetro, scatole con farfalle. Dove, purtroppo, il povero Freud non viene parodiato – d’obbligo, come insegnano i Monty Python – ma interpretato. Segue spettacolo teatrale.
[uscito su IL MESSAGGERO]