Come insegnava Orson Welles: è dai cattivi libri che si traggono i film. Luca Guadagnino lo sa e per questo ha scelto “Chiamami col tuo nome” (Guanda) di André Aciman. Purtroppo lui non è Welles, nonostante Aciman abbia scritto un libro didascalico, di una compromissione sentimentale ridicola e con una espressività elementare: un baraccone con piume e mare. Il film va agli Oscar anche se pare un vecchio Bertolucci (Bernardo) al ribasso, e il libro si vende sull’onda delle possibilità filmografiche. Elio ama Oliver in una estate di formazione sulla Riviera, ma il problema è il racconto di questo amore che dovrebbe scandalizzare e invece fa ridere, che dovrebbe essere una svolta ed è un ripiego, che dovrebbe raccontare la ricerca di corrispondenza sessuale tra uomini e, invece, precipita in un melò che mortifica le ragioni del cuore. Quella che doveva essere una polifonia diventa una nota stonata: per ogni scena erotica sognata, per ogni approccio di coppia più o meno vero, per ogni scambio riflessivo che appare telefonato: c’è l’aggiunta di una contemplazione militante e mai mirabile. Un conformismo romantico, con una estetica semplice e un tentativo d’effimero che si fa referenzialità senza raggiungere la tenerezza insolente che promette. Qualunque cosa c’abbia visto Guadagnino – che sia ideale fantastico e/o volontà di dominio e/o naturalismo onirico – è un’avventura problematica che compiace il peggio del tormento amoroso, procedendo con artefatta disinvoltura verso l’inciampo.
[uscito su IL MESSAGGERO]