Francesco e le sue donne

Più che un romanzo è l’azione coreografica di una idea vecchia, che oscilla tra Woody Allen (si può dire wudiallen?) e David Foster Wallace: “Le donne amate” di Francesco Pacifico (Rizzoli). Ovviamente senza la brillantezza umoristica di Allen né la vastità di trama di Wallace. Amante, moglie, cognata, sorella e madre, con un interludio paterno, vengono raccontante secondo un’apparente riscrittura con riflessioni e note tra parentesi. A parte l’irruzione della cognata nella narrativa italiana, che tanto aveva turbato a cinema Roberto Benigni di “Taxisti di notte” di Jim Jarmusch, per Marcello – la voce narrante e scrivente – editor e poeta, è il tentativo di comprendere e raccontare le donne. In pratica “Hannah e le sue sorelle” fatto male a Roma. L’autofiction o la fiction dell’autofiction stanno rovinando tutto. Le infinite chiacchiere, le illusioni, il racconto delle cose da fare che non vengono fatte, le convinzioni sbagliate da correggere mentre se ne discute, gli amori spregiudicati raccontati come se fossero trincee, la verbosità delle descrizioni per i legami profondi e non, tutto questo ha il potere di annoiare come poche altre cose. Generando una gran nostalgia per la normalità del romanzo, quando c’era una voce che battezzava pensieri e azioni e non la piccola avanguardia sotto due dita di polvere. Pacifico trascina per trecento e fischia pagine il compiacimento di aver scoperto le donne – finendo da mammà –, apparendo come un uomo solo, almeno nella proiezione di sé.

[uscito su IL MESSAGGERO]

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