Archivio mensile:luglio 2018

Banana Yoshimoto: sonno profondo

«Dubito che qualcuno possa avere dentro di sé più di sei romanzi completamente realizzati», dice Jonathan Franzen, ed è quello che torna in mente leggendo “Le Sorelle Donguri” (Feltrinelli) di Banana Yoshimoto, che da tempo li ha superati, senza più stupire il lettore. Una famiglia da ricostruire, tanta introspezione, irruzioni di cibo, molte scene da fumetto – «Quella notte c’era la neve. La guardai dal terrazzo mentre si allontanava. Continua a leggere

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Porte che inutilmente sbattono di notte

Fragilità e inconsistenza, oltre una elementarità di lingua, governano la raccolta di racconti: “Se mai un giorno” (Guanda) di Marco Vichi. “Storie e destini che chiedono di essere ascoltati”, sì, se avessero una voce non sovrascritta, se avessero dei dettagli, degli incipit diversi, anche non articolati ma almeno capaci di fare colpo – “Era una calda sera di settembre”; “Era una notte fonda, ma il sonno non voleva saperne di accoglierlo tra le sue braccia”; “C’era una gran bufera, quella notte”; “Non posso dimenticare quella notte. Una delle più inaspettate che abbia mai vissuto”; “Chalna, è notte. Una notte d’estate”–, Continua a leggere

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Hosea Jaffe: una idea diversa sul Sudafrica

Nel fiume di voci che raccontano il Sudafrica, quella di Hosea Jaffe è dissonante. Nato a Cape Town nel 1921, è autore di numerose opere sulla storia africana e sul sistema economico mondiale. La più importante sta per riuscire da Jaca Book, “Sudafrica, storia politica” (pp. 334, euro 28). Ha insegnato in Sudafrica, in Kenya, ad Addis Abeba e Londra. Jaffe è marxista e ha una idea singolare del paese. L’abbiano sentito mentre il Sudafrica è in festa, e guarda altrove.   Continua a leggere

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Mandela The Long goodbye

Non c’erano strade facili per la libertà e lui non era il Messia ma un uomo paziente. Sapeva che una buona testa e un buon cuore non bastano a un popolo ma ci vuole la capacità di arrivare a un compromesso. Due nomi: il primo, Rolihlahla, letteralmente istigatore, scelto dalla famiglia; il secondo, Nelson, posto dalla società nella sua prima rappresentazione: una scuola metodista. Per tutta la vita è come se Mandela avesse fatto solo due cose: ribellarsi e aspettare, oltre che pagarne le conseguenze. Cominciò presto rifiutando il matrimonio combinato deciso dal capotribù, e fuggendo dal villaggio di Mvezo, sul fiume Mbashe, «Cambiare se stessi è il primo passo per cambiare la società nella quale si vive». La sua non era delle migliori, c’era la segregazione razziale, e i neri non avevano che una manciata di diritti. Continua a leggere

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Francia-Croazia: Griezmann e Mbappé assassini dei giorni di festa

Il mazzo di carte francesi

ha messo i corpi in cornice.

Calco dello spirito

l’istantaneo prodigio.

 

 

 

 

 

[illustrazione di Fabio Mingarelli]

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