Ogni tanto i giornali titolano: “La nuova vita di Fabio Quagliarella”, e a contarle, queste vite, sembra che ne abbia avute più di Marlon Brando in “Ultimo tango a Parigi”. E per ogni vita ci sono a corredo una serie di gol eccezionali, segnati in scioltezza, come se fosse quella la soluzione più facile: testa, destro, sinistro, mezza rovesciata, rovesciata, tacco, pallonetti, tiri da fuori area a volo o con mira da biliardo o in tuffo, e prima dribbling, rabone, tocchi d’esterno, assist da regista e anche da ala, un tuttofare, e se Marco Giampaolo gli chiedesse di andare in porta riuscirebbe anche lì, insomma: la valigia del calciatore di Quagliarella contiene almeno altri quattro forse cinque giocatori. Eppure, persino ora che ha eguagliato la striscia di partite con gol consecutivi (11, segnando due rigori contro l’Udinese) di Gabriel Omar Batistuta: “Serata indimenticabile, pensare anche solo di avvicinarsi ad uno così come era Batistuta è impensabile. Ma strada facendo mi dicevo chissà. E poi è arrivato. Sono senza parole, non ci credo: l’ho fatto veramente. Il pallone pesava un po’ sul dischetto. Sembrava una palla medica. Però sono andato cattivo, pensando che avrei potuto fare il record”; eppure, persino ora che ha segnato già 16 gol tenendo testa a Cristiano Ronaldo e ai giovani Duvan Zapata e Krzysztof Piatek, e che il Genoa, su Twitter, gli riconosca pubblicamente la gioia di avere un avversario così forte in casa – “Orgogliosi di essere genoani e di avere in città un rivale forte come te! Complimenti Fabio” –; e che, soprattutto, il 31 gennaio compie 36 anni, e persino dopo aver vinto tre scudetti con la Juventus, Quagliarella guardandosi indietro può dire: “Meritavo di più”. E non è una bugia. Come non è una bugia che sia un meridionale che si è realizzato al nord, anche se è nato a Castellamare di Stabia è un figlio del Filadelfia, del suo spirito, uno stadio del passato capace di insegnare rabbia e forza, voglia di lottare e disciplina, per questo Quagliarella può cantare con Vasco Rossi: “Eh, già, sono ancora qua”. E ci rimarrà per un bel po’, perché glielo deve il calcio e se anche non volesse farlo, se lo prenderà, come si è ripreso la sua vita dopo una bruttissima vicenda che ha condizionato non poco il suo rapporto con Napoli. Nel 2009 è oggetto di una serie di bugie, stalkerato, con accuse di contiguità con la camorra, feste con droga e ragazzine, e scommesse clandestine, niente di vero, e il peggio è che a perseguitarlo è un suo amico che si finge anche difensore: un agente della polizia postale, Raffaele Piccolo. La storia durerà cinque anni e costerà a Quagliarella l’abbandono del Napoli – squadra che sognava da bambino – con conseguenti accuse di tradimento. Ad accorgersi dell’accusatore sarà il padre di Quagliarella, da lì le indagini – si scoprirà che Piccolo ricattava anche altra gente – e poi arriverà la condanna del poliziotto. Intanto Quagliarella torna alla Sampdoria e ritrova se stesso, la sua naturalezza in area di rigore, e i gol. Torna a segnare e sorridere, corre leggero, libero da accuse e malintesi, fa pace con tutti quelli che non potevano capire e gli chiedono scusa, e ora aspetta anche di tornare in Nazionale dove Roberto Mancini ha bisogno di uno come lui, uno capace di metterla in porta da ogni posizione e in ogni modo, anzi no, nel modo più difficile possibile, per gli altri s’intende. È tutto facile dopo una vicenda così, adesso finalmente è fuori e a farne le spese sono i portieri, libero corre da una fascia all’altra o si piazza in mezzo e segna, nessuno lo può condannare per la voglia di segnare che ha, per la voglia di correre su ogni pallone e persino di mandare in porta Manolo Gabbiadini. “Fabio è un professionista esemplare. Non arretra di un centimetro, un esempio di professionalità. Gli spiego le cose una sola volta e le fa meglio di come gliele spiego”. Dice Marco Giampaolo, suo allenatore ad Ascoli, poi ritrovato alla Sampdoria, lasciando la sua mestizia, perché ora Quagliarella è contagioso, porta energia e risate, come tutti quelli che hanno conosciuto un plotone d’esecuzione, vero o di carta, come tutti quelli che si sono sentiti soli e non creduti, abbandonati e condannati. Quagliarella non è solo un attaccante atipico, capace di giocare come centravanti, seconda punta e ala, è anche un uomo atipico che si è dovuto reinventare ogni volta che sembrava ce l’avesse fatta, che avesse raggiunto il sogno e che dovesse solo divertirsi: a Napoli c’era solo da esplodere con l’aggiunta della bella storia del figlio che torna a casa e, invece, cade vittima di una trappola extracalcistica che però ne condiziona le prestazioni; a Torino con la Juventus parte benissimo poi si infortuna (legamento crociato anteriore destro e uno stop di circa 6 mesi) vince tre scudetti, segna gol bellissimi, ma non si può dire che fosse, né che si sentisse, appagato e nemmeno felice, in più c’erano le scorie delle accuse; e allora si è reinventato col Toro e con la Sampdoria, due ritorni con maglie e su campi che conosceva, quasi che avesse bisogno di tornare dove era stato felice, dove aveva cominciato a segnare e pesare e a farsi riconoscere: è quello che segna i gol impossibili con naturalezza. E fin quando sarà in campo continuerà a farlo.
[uscito su IL MATTINO]
[…] ha mai smesso di frequentare le aree di rigore, e il gol. A fare due conti è un uomo che sfugge: al tempo e ai suoi marcatori, e nella soffitta di qualche spogliatoio ci sarà una vecchia figurina Panini […]