Alla fine si è sciolta, come fard sotto le telecamere, nella migliore tradizione della tivù del dolore. Wanda madre, moglie, sorella, amante, sposa e soprattutto fata prima che procuratrice: ha pianto, invocando il lieto fine, così mentre metà tivù entrava in empatia e invocava il condono calcistico in nome dell’amore passando per Massimo Moratti come se fosse Alberto Castagna: in una crasi tra “Stranamore” e “Anche i ricchi piangono”, l’altra metà, la concorrenza, la appendeva al muro, come fece proprio Marcello Lippi nello spogliatoio – quello travagliatissimo dell’Inter che scavalca la saga de “Il signore degli anelli” – con un altro calciatore, qualche stagione fa. Wanda Nara, prendere o lasciare: esagerata, burrosa, felliniana, una ballerina che dirige il circo di famiglia e spesso con una strategia scomposta ma utile, questa volta non porta a casa nemmeno un pareggio. A farne le spese: Mauro Icardi, attaccante, marito, figlio, amante, sposo, e capitano dimezzato, che ha perso fascia e il posto – ma tutto si aggiusta come suggerisce con la bontà di un avvocato americano Beppe Marotta mentre gli applica il metodo Juventus – e che è crollato emotivamente, trascinandosi dietro anche la sua procuratrice e moglie o viceversa, dipende da dove si guarda durante il giorno e le partite. Il problema è proprio questo: Wanda parla, con una doppiezza che non controlla o forse sì; Wanda twitta, con una leggerezza che non controlla o forse sì; Wanda va in tivù a dare giudizi su squadra e compagni senza preoccuparsi delle conseguenze o forse sì; e se da una parte si può gioire per l’irruzione di una donna esuberante nel monotono mondo del calcio, una che per amore diventa procuratrice – o per tenere tutto il malloppo in casa, la sorella di Icardi la dipinge come quella con la cassa – e crea un corto circuito che cuce il campo e la palla alle telenovelas portando lo spogliatoio in camera da letto e viceversa; dall’altra parte vorremmo che fosse più attenta e anche più dura e concreta e non pretestuosa, se decidi di assediare una società per un rinnovo o un cambio di passo nel rapporto, devi pensare alle conseguenze e tenere il punto, devi controllare il contesto e pensare agli effetti, ma se alla prima risposta – non contemplando la nuova strategia societaria dell’Inter con l’ingaggio di Beppe Marotta – viene giù tutto, allora meglio fare la madre, moglie, sorella, amante, sposa e soprattutto fata lasciando perdere la procuratrice. E se poi decidi di restare, e questo non può che far piacere, ti tocca prima di tutto stravolgere il piano comunicativo, su questo può evitare di sentire sia il fratello di Gonzalo Higuain che ha perso le sue partite con Florentino Pérez, Aurelio De Laurentiis e Leonardo, sia la madre di Nicolò Zaniolo – nuovo eroe dell’area di rigore con la maglia della Roma, sfuggito proprio all’Inter e alle sue avventure tolkieniane – che sta perdendo (anche se non è ancora procuratrice punta ad esserlo) e rischiando di dare al figlio più preoccupazioni dall’Isola dei famosi di quante gliene possano arrivare da una semifinale di Champions League; a riprova che la famiglia serve, i genitori aiutano, ma la distanza salva. Quella tra amore e lavoro – senza nemmeno bisogno di guardare Recalcati in tivù – poteva dirglielo anche la cameriera di casa che avrà visto “Roma” di Alfonso Cuarón di nascosto su Netflix. Quello del parente che diventa drago e tiranno, è un antico problema fin dai tempi di Wolfgang Amadeus Mozart, quindi o si taglia prima o si lotta come Andre Agassi o Serena e Venus Williams, o si è fortunati come Valentino Rossi e Filippo Tortu, o si è bravi come Victoria Beckham una che ha saputo incrociare calcio e famiglia, senza intralciare i tiri e le mire del marito David. Anche Francesco Totti e Giorgio Chiellini sono stati gestiti da fratelli procuratori, ed ha funzionato, per lo juventino continua a funzionare, il problema non è il legame che sia di sangue o d’amore, il problema è il come, non ci si improvvisa agenti, e spesso i legami sono deleteri nelle scelte, si finisce per mettere sul piatto anche le proprie, è quello che è successo a Wanda Nara, uno strano innesto di donna forte – o quasi – su maschio latino debole o debolissimo fuori dall’area di rigore. Tutto questo in un mondo – quello del calcio – ipermaschilista. Basta andare su un campo di ragazzini che si giocano anche un accesso al parcheggio di casa per trovare genitori che sognano di diventare Jorge Mendes e figli che si immaginano d’essere Cristiano Ronaldo, il sogno è lecito, ma il percorso è complicato. L’irruzione dell’affetto, la volontà di protezione e copertura che dalla famiglia arrivano allo sport sotto forma di agente, ma anche il non più tanto velato bisogno di luce riflessa, sta portando a dei divori. Il procuratore, prima, era visto come l’esperto al quale affidarsi, ora appare come una spesa e un posto in più nelle foto sui giornali. Un spesa da evitare e un posto da liberare, anche a costo di perdere tutto.
[uscito su IL MATTINO]