Max Fox: ladro di biblioteche per amore

Cerca la storia del presente Sergio Luzzatto, e la trova attraverso le imprese di Massimo De Caro, un bugiardo, imbroglione, falsario, ladro. Almeno stando al primo livello, poi c’è il resto, c’è la vita e ci sono le relazioni, c’è la biografia e il contesto, e così, questa si trasforma in una storia esemplare, il tentativo di diventare l’opposto di quello che si dovrebbe essere, una metamorfosi, e, poi, di lato, ci sono anche i tormenti dello storico che rischia di seguirlo, scivolando verso le ragioni di una mente perversa. Ecco “Max Fox” (Einaudi), un libro che solo apparentemente è un saggio, in realtà è l’evoluzione narrativa di una storia che poi sarà film, ovvero come Massimo De Caro partendo da una onesta famiglia della borghesia di sinistra arrivi ad essere una sorta di personaggio della serie Ocean’s di Steven Soderbergh o la versione maschile della falsaria interpretata da Melissa McCarthy in “Can You Ever Forgive Me?” (Copia originale).Lo storico Sergio Luzzatto, anche se con troppe premesse e paure, partendo dall’articolo denuncia di Tomaso Montanari – “Libri, uomini e topi” che svelava gli abusi dell’ex direttore della biblioteca dei Girolamini di Napoli – ne ricostruisce le imprese e scava dentro la psiche che le ha generate, parlando a lungo con De Caro (nelle loro conversazioni via Skype ha il nickname Max Fox da un personaggio di “Wall Street” di Oliver Stone: Bud Fox). Dietro al fatto che un ragazzo, solo “Profesor Honorario”, possa arrivare a dirigere una delle più belle e importanti biblioteche d’Italia – la preferita di Giambattista Vico – c’è la storia degli ultimi vent’anni italiani, e anche un po’ di quella mondiale. Sì, perché De Caro gioca un ruolo importante all’interno della politica internazionale, saltando da Buenos Aires a New York e arrivando a Mosca via Bari, tutta la trama che lo porta a entrare in stanze importanti e a giocarci, anche se a lui piace pensarsi come un Guglielmo de’ Libri, oscilla tra il mondo di Alberto Sordi scritto da Rodolfo Sonego e le pagine di Dan Brown, partendo e finendo nell’amore smodato – che si fa ossessione e delitto – nei libri del passato. De Caro studia moltissimo – ma non riesce a prendere la laurea, lo farà dopo in carcere e per rimorso – il mondo galileiano, e prima i libri antichi: come restaurarli, e poi come riprodurli. Ma più che un topo da biblioteca è un ladro di biblioteche, per amore, come ripete molte volte a Luzzatto, non sopporta di veder maltrattati i libri e quindi li salva, poi li rivende se serve, arrivando ad essere un reuccio del mercato, e conoscendo un mucchio di gente che poi gli torna utile: dal magnate russo Victor Feliksovič Veksel’berg a diversi cardinali fino al senatore Marcello Dell’Utri bordeggiano Putin e il Papa. Seguiamo i traffici con i libri antichi di De Caro, tra le sottrazioni alle biblioteche italiane e le vendite in Argentina, e lo vediamo annodarsi all’inseguimento di una collezione galileiana, fino al grande progetto: ingannare l’intera comunità internazionale, sbeffeggiarla, con un falso libro di Galileo Galilei e riuscirci, replicando la beffa delle teste di Modigliani. Riproduce il “Sidereus Nuncius”, e anche Horst Bredekamp, grande storico dell’arte, ci casca, straconvinto dell’autenticità, mentre De Caro tra una consulenza e l’altra è anche approdato al governo come consigliere con Giancarlo Galan, prima ministro all’agricoltura e poi ai beni culturali, e infine mandato a dirigere la biblioteca dei Girolamini, in una vertigine che unisce ogni forma di superficialità e danno. Ma prima della caduta e delle tristi scoperte, con le confessioni di De Caro, la storia più bella riguarda un vecchio professore di Harvard: Owen Gingerich – sembra il Guglielmo da Baskerville de “Il nome della rosa” di Umberto Eco – che si mette a indagare sul falso “Nuncius”, senza computer e o analisi della carta e dei caratteri, no, ma ricostruendo il pensiero di Galileo e la sua evoluzione, passando in rassegna le tappe delle sue scoperte, e quindi trovando la falla, perché il diabolico De Caro per fortuna o purtroppo commetteva anche degli errori, nei dettagli, ma c’erano. Luzzatto, ovviamente, cita come modelli “L’avversario” di Emmanuel Carrère, e “L’impostore” di Javier Cercas, trovandosi a lavorare con la bugia, al cospetto di un abile manovratore, un sovvertitore di realtà che, però – grazie alla puntigliosità dello storico –, appare con la difesa abbassata, ormai vinto dagli eventi, e molto soddisfatto per la beffa riuscita, anche se ha perso tutto, se è finito in carcere, c’è il compiacimento dello sperpero, e la tranquillità di chi ha giocato e perduto divertendosi molto, che viene passata al lettore.

[uscito su IL MATTINO]

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