L’hanno cancellata con una X su un grafico, e sotto c’erano le facce delle donne e degli uomini che ritrovate in questa pagina. Lo stabilimento Whirlpool di Ponticelli è uscito dalla prospettiva della multinazionale americana, come lo stabilimento Evansville (Indiana), dove producevano frigoriferi, finito in Messico per abbassare i costi di produzione. Ma questa fabbrica di lavatrici, prima che una fabbrica è una casa, dove c’è una famiglia di 420 persone, e nessun numero potrà spiegare la riconversione, anche perché sarà difficile spostare questi operai, che non sanno di essere la retroguardia dell’Occidente, proprio come accadeva ne “Il posto dell’anima” il film di Riccardo Milani, nessuno ha detto loro che appartengono a un settore che è insostenibile per i canoni economici europei, nessuno ha spiegato che non si può fare industrializzazione in un paese che è – di fatto – postindustriale. Poi, c’è la vita, e la contrapposizione alla morte sancita dall’economia, e non a caso gli operai hanno scelto di contrapporre alla X della Whirlpool, un segno di spunta, l’opposto della croce, una V verde di vita, la loro, che no, non ne vuole sapere di essere cancellata, anche perché la fabbrica di lavatrici ha operai fieri del loro lavoro con una appartenenza da anni Settanta, ma sono cambiati i modelli: dimenticate Gian Maria Volonté o Petri, dimenticate Berlinguer e sostituiteli con Papa Bergoglio, Gabriele Muccino (de “La ricerca della felicità” con Will Smith che perde il lavoro, resiste e se lo riprende) e Luigi Di Maio. A loro non interessa che il vicepremier sapesse o meno della chiusura, gli credono a prescindere, l’hanno votato tutti o quasi, e anche per questo lo chiamano per nome e aspettano che si batta. Maria Amore (35 anni, di cui 18 in fabbrica alla catena di montaggio, è suo l’ultimo sguardo alle lavatrici che
escono), dice: «Questa è casa mia, ci sono cresciuta, e non me la toglieranno», crasando sentimenti e lavoro, anche perché qua lavorava suo padre, e lavora il suo compagno Gianni Rubinacci (46 anni, da 23 in fabbrica) si è innamorata alla catena di montaggio e contava di vederci i suoi figli giocare intorno, come pure immagina Alba Giardino (45 anni, da 28 in fabbrica ad occuparsi di vaschette). È difficile che in America possano capire questo legame, tanto che un’altra operaia ne parla in termini di coppia, Luana Imperatrice (31 anni, da 14 in fabbrica, operaia di linea, ha cominciato a 16 anni come minore assistita, un po’ per stare con la madre, un po’ per avere un lavoro sicuro): «Alla Whirlpool ho dato i migliori anni della mia vita, sono cresciuta a pane e lavatrici, stavo già qua quando le lavatrici avevano ancora i tastini, e li montava mia madre». Tutti o quasi hanno un genitore che ha lavorato e lavorando ha fatto da garanzia, per questo la decisione è un trauma doppio, dietro c’è uno strappo fortissimo della fiducia, nessuno credeva che potesse avvenire la chiusura, e nemmeno ci crede, come Pasquale De Micco (34 anni da 19 anni in fabbrica): «A mia figlia ho detto che è un gioco, come Benigni ne “La vita è bella” dice al suo». O c’è chi non si serve del realismo magico, come Crescenzo D’Alterio (40 anni da 15 jolly alla catena) che venendo dai cantieri edili non riesce a smettere di sperare: «Ne ho viste di peggiori, mi scervello a trovare una soluzione e l’origine della chiusura, per me è una ripercussione per la Via della Seta, tutto è cominciato quando abbiamo firmato con la Cina». Purtroppo l’origine del problema sta in Oriente, perché le lavatrici d’Asia costano meno, e la precarietà di vita occidentale non
permette la scommessa sul tempo futuro, quindi si sceglie un prodotto che dura meno perché meno dura il lavoro per pagarlo, ma qua fuori non c’è nessun Jannacci a cantare ste cose, mentre le Vincenzina son ancora tantissime. La V di spunta e vita è di Vincenzo Accurso (42 anni operaio ai filtri e cavi, delegato della Uil), è lui che ha fotografato la X con la quale se ne è partita anche la sua vita, è lui, come Silvio Orlando nel film di Milani, ha capito che bisognava opporsi subito e provare a resistere, anche se non canta Joe Strummer. È lui che mi porta in giro tra i cerchi di sedie e gente nello spiazzo davanti alla fabbrica, a via Argine – mai nome fu più appropriato – dove ai campi si sono sostituite le fabbriche e dove non torneranno i campi, come racconta Salvatore Dolce (54 anni, di cui 32 in fabbrica) che ha assistito al processo: suo nonno zappava la terra, suo padre lavorava alla Whirlpool, lui sta in piedi sull’argine. «Dopo aver fatto l’amore con questa fabbrica, come ho detto in assemblea: io ci resto sotto questi capannoni anche se li abbattono». Dolce ha come mito Maradona ed è convinto che se ci fosse ancora sarebbe venuto a trovare gli operai, «Ma ora pure Diego tiene i guai suoi». Infine, c’è Andrea Vollaro (56 anni, 33 di fabbrica, team leader, responsabile di dieci persone, delegato Uil), quello più pragmatico, meno sognatore: «Mi sono accorto che qualcosa non andava quando ho visto mesi fa che non sostituivano i pezzi che si rompevano, ci avevano già abbandonato», è distaccato perché corre dal letto d’ospedale dove c’è suo padre (operaio qui prima di lui) e il presidio, e che tra la vita e la morte gli ha mormorato eduardianamente: «Non ti preoccupare, ci sono passato, è solo una questione di soldi».
Foto di Antonio Di Laurenzio
[uscito su IL MATTINO]