Tel Aviv on Fire: il segreto è l’ascolto

Si può fare. Si-può-fare. Parlare di Israele e Palestina, del conflitto, delle diversità, ironizzando, giocando con l’hummus i pomodori e i fischi, i check-point, il muro e le ottusità. In fondo era quello che faceva il cinema italiano, la commedia può cannibalizzare tutto e restituirci il dolore con le risate, basta saper scrivere. Il film – da vedere subito – è “Tutti pazzi a Tel Aviv” (è del 2017 ma in Italia è arrivato tardi), perché si ride, perché c’è ritmo, perché poi citerete le battute anche se non sapete che cosa hanno trattato israeliani e palestinesi a Oslo. Il regista, Sameh Zoabi, è palestinese, ha studiato a Tel Aviv e poi alla Columbia – dove avrà evitato Antonio Monda – ed è la dimostrazione che si può prendere in giro tutto, metterci anche una scena di disperazione davanti al muro – ovviamente per amore – e non diventare mai un savianeide. Il film ha più livelli, c’è una soap opera palestinese “Tel Aviv on Fire” che si gira a Ramallah, c’è Salam (Kais Nashif) uno sciagurato cialtronissimo come il Vittorio Gassman del “Sorpasso”, che mente a tutti, ma con la recitazione e la fisicità di Corso Salani, e che fa l’assistente di produzione perché nipote del capo, vive a Gerusalemme, conosce l’ebraico e un po’ fa il caffè un po’ corregge la pronuncia della spia (Tala/Rachel/Lubna Azaabal) interpretata da una bizzosa star francese nella soap, e un po’ strologa sui fatti israeliani: «Sei una bomba» un militare israeliano lo direbbe o no? Da qua comincia tutto, Salam lo chiede al check-point a una soldatessa: «Se io dico a una donna ‘Sei una bomba’ è un complimento o un’offesa?» e questa lo arresta. L’attrice francese recita la parte di una spia che a furia di frequentare un ufficiale israeliano se ne innamora, la storia ambientata nel 1967 alla vigilia della guerra dei sei giorni ed è girata come se fosse “Gli occhi del cuore” di “Boris” con innesti d’Almodovar in Palestina, ed è vista da tutti, commentata pure da chi non la vede, non solo dai palestinesi ma anche dalle mogli israeliane dei soldati – il ritorno a casa di Salam dalla madre incollata alla tivù e del colonnello (Assi/Yaniv Biton) a capo del check-point a Ramallah che trova moglie e sorella perse allo stesso modo: valgono saggi e saggi sulla pace – tanto che l’ufficiale che ha conosciuto l’assistente pensa di riconquistare il posto in famiglia attraverso la soap, e lo capisce quando la moglie gli spiega che «non esiste solo la politica, è una serie romantica». Salam spera invece di riconquistare l’amore (Mariam/Maisa Abd Elhadi) maltrattato in passato, entrambi usano la soap per mandare messaggi, mescolando la realtà e i desideri. Il secondo livello è come l’evoluzione della sceneggiatura – che vale più d’un intifada passando per “Misery non deve morire” e Cyrano de Bergerac – sia anche l’evoluzione della pace, come il colonnello e Salam scrivendo e collaborando, tra abusi e contrattazioni e un buon hummus – alla fine sarà quello a creare unità fra i Gerosolimitani – replichino la ricerca dell’unione tra i due stati. E il terzo livello è che l’intero film è anche un corso gratuito di sceneggiatura e scrittura, perché il segreto d’un matrimonio, ma pure di un buon film, è l’ascolto.

 

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