Se anche a voi succede di vedere spiagge quando entrate nelle librerie, non demordete e scavate, sotto tutta quella sabbia c’è del buono. Se grattate via i gialli, le amiche geniali e dribblate le piramidi camilleriane, troverete anche dei veri romanzi, ma non questo, non il migliore di quest’anno – perché riedito – e degli anni avvenire, e allora uscirete e lo cercherete in rete o nella libreria che lo terrà e lì prenderete casa, perché questo libro è una opera-vita di terra e passato, che fa impallidire tutti quelli che scimmiottano la terra e il passato, che piangono e poetano e che raccontano ciò che non sanno. Perché “Oga Magoga” (Gangemi editore) di Giuseppe Occhiato è un libro enorme, con una moltitudine di corpi e voci e pagine che girano intorno al personaggio-cometa Rizieri Mercatante, un ulisside, che torna, in un viaggio lento, in licenza breve dalla guerra, perché ferito: siamo nel 1943 tra la Sicilia e la Calabria, nello stretto di “Horcynus Orca” di Stefano D’Arrigo, stessa grandezza ma un mostro di terra, il Minotauro, male assoluto che sta sulle teste dei contadini calabresi e li tormenta. Occhiato, a dispetto del dominio dei temi classici, ha una ipermodernità strutturale sorretta da una scrittura forte, vissuta, carnale e cantata che forma un universo letterario-mostricida col dolore ingoiato ma non digerito, che tiene insieme Gadda, Pizzuto e Bufalino, un libro per straziati, miserabili e fottuti d’ogni tempo, un libro per le anime penianti, per chi non ha niente, per chi ha solo una vita amara e aprendolo trova quattro stelle – Stilla Farota, Stilla Diana, Stilla Oriana, Stilla Vavara – e tanto stupore.
[uscito in forma differente su IL MESSAGGERO]