Se Eugenio Castellotti non fosse morto nel marzo del 1957 all’aerautodromo di Modena è probabile che Franco Maria Ricci avrebbe esercitato la ricerca della bellezza su pista e non nei libri, perché se Castellotti fosse tornato dal suo turno di pista sarebbe salito sulla Ferrari per provare a togliere il record a Jean Marie Behra, ma Castellotti si perse in una curva e Ricci divenne altro. È uno dei tanti possibili incroci del labirinto ricciano. Tutta la sua vita è un continuo svoltare per angoli retti. Si laurea in geologia a Parma – città dove terrà sempre i piedi mentre la testa sarà altrove – e va a cercare il petrolio in Turchia lavorando con Gulf Oil, dove, però, scopre la tomba di Antioco I, e poi nella Francia sud-occidentale: le Grotte di Lascaux, dall’unione di questi due nodi della storia dell’umanità: segno, storia e grandezza, viene fuori FMR: un sovrano seleucide il cui intento è d’inseguire, acchiappare e riprodurre la bellezza ancestrale. FMR fu il primo della sua famiglia, di nobili genovesi, a lavorare, ovviamente con una classe unica, cominciando come grafico, dopo aver abbandonato la ricerca del petrolio in Asia, disegnando un manifesto per il festival del teatro a Parma. Poi vennero i grandi marchi (da Poste italiane a Scic passando per Smeg e tante banche e l’etichetta Berlucchi, con il gioco dei biglietti Alitalia: che replicavano la grandezza italiana ribadendola anche nella carta di viaggio, poi divenuta da collezione: si inventò l’album Panini degli imbarchi). FMR era tutto istinto ed esecuzione, velocità e quindi cambio. Girava per le campagne dell’Emilia Romagna con la sua Jaguar E (quella di Diabolik) cercando i quadri di Ligabue – Van Gogh padano – e immaginando un altro mo(n)do. Che trovò nella Biblioteca Palatina, quando rincontrò Giambattista Bodoni – si conoscevano da secoli scavalcando i mari del tempo – ripubblicando il Manuale Tipografico, e portandolo, successivamente, in America – vendendolo sul volo Milano-Washington senza vergogna, e presentandosi alla Fiera di Francoforte con uno stand per un libro solo: tutto oro e nero. Bodoni non era un semplice carattere, ma l’impaginazione di un mondo, l’eleganza che trova segno e poi s’addormenta come una principessa delle fiabe, fino a quando non viene riportata in vita da FMR. Ma gli azzardi non finiscono, ogni respiro di FMR sarà scommessa oltre se stesso, il secondo libro fu l’Oratio Dominica con
un Papa (Paolo VI) e un segretario dell’Onu (U Thant) usati come due cantanti: a uno disse della firma dell’altro senza che nessuno avesse ancora messo mano agli scritti, il resto lo fece con Jacqueline Kennedy madrina di una diarchia che era solo pensata e che divenne realtà solo dopo con un gioco delle tre carte. Da lì in poi era tutta distesa. Di pagine. Perché arrivarono Encyclopedie de Diderot et d’Alembert (18 volumi di voci, saggi, illustrazioni) che Mitterrand trasformò in regalo di Stato, e soprattutto la biblioteca vivente: Jorge Luis Borges. Il loro incontro è una linea sinuosa di Le Corbusier che disegna una sopraelevata sulle coste di Algeri e Rio de Janeiro, Parigi e NY, perché insieme daranno vita alla Biblioteca di Babele, una collana di non Verità, letteratura fantastica che si somma alla pazzia grafica, elevandoli su tutto e tutti. Il loro primo incontro è da Bioy Casares: in calle Mexico dove c’è la Biblioteca Nazionale di Buenos Aires: Borges accoglie FMR recitando Dante: “Tu duca, tu segnore e tu maestro. / Così li dissi; e poi che mosso fue, / intrai per lo cammino alto e silvestro”, e prendendolo sottobraccio per illustrargli quello che non può più vedere o che probabilmente vede meglio di chiunque da un altro punto di vista: le sale sterminate e piene di quel sapere perduto e continuamente attentato che è l’immaginazione umana. FMR ricambierà quella accoglienza da re del Portogallo prima con una visita italiana – «Franco fammi “vedere” l’Italia», senza quella visita non ci sarebbe la “Strategia del ragno” film di Bernardo Bertolucci tratto da un racconto di JLB – e poi con una cerimonia irripetibile che sovrasta quella che Borges avrebbe meritato per il Nobel: New York Public Library, si presenta la più bella rivista del mondo, FMR (arte distillata), appunto, (portata con 8 Jumbo degli Usa, perché stampata in Italia, Ricci aveva bisogno di una cura artigianale non replicabile altrove e che richiedeva un dettaglio linguistico raggiungibile solo in italiano, per non avere errori nei gesti), c’è tutta l’America che conta e l’ospite d’onore è Borges. In pratica FMR scavalcò l’Accademia di Svezia e la sua prudenza, mostrando e omaggiando lo scrittore argentino e allo stesso tempo usò il più grande testimonial vivente della letteratura, l’uomo con la scrittura più elegante ed efficace, per lanciare la rivista. Capite che oggi è impossibile tutto: che ci sia in giro un FMR, che si pensino questi eventi, e che si cerchi in quel mondo perdurante e stordente l’effimero della bellezza, buttandosi a capofitto in una impresa misteriosa e rischiosissima come l’avventura editoriale d’élite. Eppure: cura, gusto, stile, nero e oro, azzurrino della carta
Fabriano e grandi scrittori, e oplà. Il miracolo è servito. Dopo Borges, arrivarono Calvino, Eco, Cortázar, Zavattini, Barthes, Saroyan, Paz, una nazionale degli scrittori irreplicabile, per una collana unica, dispari, di cui forse, il pezzo più bello è il Codex Seraphinianes di Luigi Serafini con commento di Italo Calvino, la più borgesiana delle idee borgesiane: una piccola enciclopedia di cose inesistenti (mille disegni), metamorfosi grafiche, raccontate in una lingua inesistente; come stare seduti sul bordo dell’abisso e di fianco c’è Calvino che prova a scherzarci su. Come scherzando Franco Maria Ricci dirà a Borges che vuole costruire il più grande labirinto del mondo, e Borges gli risponderà: «il secondo più grande del mondo, vorrai dire, perché il primo è il deserto». Ricci poi lo costruirà davvero con l’aiuto di Davide Dutto e Pier Carlo Bontempi, ed è davvero secondo solo al deserto: Il Labirinto della Masone: 7 ettari, tre chilometri di cammino, e ottocentomila piante di bambù che arrivarono dalla Cina, in un percorso a ritroso rispetto a quello di Marco Polo, una nuova città invisibile calviniana, che si può vedere – se fortunati – dall’aeroplano mentre percorre la rotta Roma-Milano. Contraddizione e contrasti, progetti utopici – come gli architetti Étienne-Louis Boullée e Claude-Nicolas Ledoux, tanto amati –, piccole vittorie, grandi collezioni d’arte (tra le tante opere Adolfo Wildt, Domenico Gnoli e Demetre Chiparus), libri costosi – «come una borsa griffata solo che la borsa è vuota» – e una sola grande lezione di stile. FMR ha unito il meglio dell’Italia, pensando quello che sembrava impossibile, inventando e vendendo quello che pareva non dovesse mai trovare forma né mercato, ha corso, disegnato, inseguito, amato, venduto e comprato, e sempre ridendo, un bambino infinito, che ha giocato il gioco del mondo.