Apparteneva agli Omero dello sport, Alfredo Pigna. Quando c’erano le voci e qualche volta anche le facce. Gli era toccato lo sci come specialità, ma poi, in realtà, aveva gli occhi e le parole per tutti gli altri. La sua faccia greca, appunto, nasone, zigomi sporgenti e sguardo da guerriero, divenne il volto della Domenica Sportiva, che era l’unico Angelus possibile dopo quello del Papa. Ma Pigna, che era un anglo-napoletano, un lord che sembrava sciare quando appariva in tivù evitando i paletti della sguaiataggine e dei giudizi affrettati, veniva dalla strada, quella vera. Aveva perso il padre (Corrado, ingegnere) in Libia, a Tobruk, e si era arrangiato nella Napoli “milionaria” di guerra e d’Eduardo De Filippo, di borsa nera e Roberto Rossellini, con i miracoli di Vittorio De Sica, s’era improvvisato, come gli altri, forse anche di più, caricando e scaricando al porto e guidando camion per laurearsi in legge ed emigrare a Milano: dove cominciò staccando biglietti alla Fiera Campionaria, prima di mettersi a scrivere. Quella generazione italiana era pronta a tutto, non si lamentava, conosceva la profondità umana perché l’aveva attraversata in ogni forma, non a caso, Pigna, faceva dei ritratti filmati bellissimi, pochi minuti, domande giuste, humour inglese e verità: era l’Italia dei giocatori che si confessavano a tavola dove fumavano e bevevano, che rispondevano a tutte le domande come Pulici sul matrimonio, Bettega sull’emigrazione e Maestrelli sulla vanità (facendo cantare Chinaglia, tra l’altro), senza tempo e senza difese, anche perché le domande venivano da uomini come Pigna, che erano dei CT del racconto sportivo. C’era Adriano De Zan al ciclismo, Paolo Rosi al pugilato, Guido Oddo al tennis, Aldo Giordani al basket, Alberto Giubilo all’ippica, la Nazionale aveva Nicolò Carosio, Nando Martellini e poi Bruno Pizzul, il campionato Maurizio Barendson e Paolo Valenti, libero Beppe Viola, alla moviola/cassazione Carlo Sassi. Pigna aveva lo sci (ma ci furono anche Olimpiadi, Campionati mondiali, Giri d’Italia, Coppe America di vela, che poi divennero pure libri) e lo raccontava come se fosse Dickens, non c’erano solo discese e paletti evitati o inforcati, tempi e barriere, piste ghiacciate o morbide, no, ci metteva un solo aggettivo, un solo verbo, e mai i fatti suoi, c’era il racconto e il giudizio, se rimaneva tempo. Chiunque ha avuto la sua voce e le sue parole deve essere contento, perché alle gesta si accompagnava il verso, marcandole con la giusta gloria, come accadde – tra i tanti – a Paoletta Magoni, Gustavo Thoeni e soprattutto ad Alberto Tomba. La misura era la sua forza. Che si portò anche alla Domenica Sportiva – condotta dal 70 al 74 e poi dall’82 all’86 – così la raccontò: «Parliamo di un giornalismo che badava al midollo delle cose, si faceva a chi era più bravo e poi si andava a cena tutti insieme, come fratelli. Esistevano le regole ed esistevano i maestri. Oggi è quasi tutto sopra le righe. Quando conducevo la Domenica Sportiva non permettevo alle voci di accavallarsi, mai. Nessun giornalista cercava di apparire spiritoso: ci veniva insegnato che di noi non importava niente a nessuno, contavano solo gli atleti e le gare». E questo rigore militare fu notato dall’autore del “Deserto dei Tartari”, Dino Buzzati che, leggendo una cronaca di Pigna – mandato di notte sull’Appennino emiliano per una corriera piena di bambini precipitata in un burrone, in molti avrebbero sbrodolato, sentimentalizzando la tragedia –, lo mandò a chiamare per conoscerlo. Pigna era un gregario per il “Corriere della Sera” su intuizione di Gaetano Afeltra, faceva di tutto, tanto che di notte toccò a lui il racconto della tragedia che poi lesse Buzzati prendendolo a “La Domenica del Corriere”: «Lei scrive in maniera garbata. Le piacerebbe collaborare con noi?». Poi, insieme sceneggeranno il secondo film da regista di Ugo Tognazzi, “Il fischio al naso”, adattamento da un racconto – “I sette piani” di Buzzati. Pigna scriverà anche il (non) film ossessione di Federico Fellini “Il Viaggio di G. Mastorna, detto Fernet”, le capacità gli venivano dal racconto del gesto sportivo. Poesia e sintesi che aveva anche sua sorella Zora – moglie di Mario Vitelli, cronista di calcio e pallanuoto per “Il Mattino” – poetessa, che scrisse: “D’ogni stagione / mi rimane il pianto”, di quella d’Alfredo, invece, resta il canto.
[è uscito su IL MATTINO]