Andarsene in giro per Roma deserta in vespa, ecco l’estate di Nanni Moretti, potersela inventare prima che anche gli altri scoprissero il restare soli in città. Dove Vittorio Gassman / Bruno Cortona ne “Il Sorpasso” di Dino Risi voleva scappar via, correre lontano, trovare gli altri, il mare, l’avventura, lasciando la Capitale, Moretti sta, e riscopre, sta e ricorda, sta e cerca e scrive e scrivendo filma “Caro diario”. Va a cinema, va a cercare Jennifer Beals – la sensualissima ballerina di “Flashdance” di Adrian Lyne – che incarna la sua idea di libertà del corpo, col ballo – poi ballerà guardando Silvana Mangano alla tivù – ma soprattutto guarda le case, sogna un film solo di case, e le riprende, le accarezza e racconta interi quartieri romani dalla Garbatella al Villaggio Olimpico fino allo Spinaceto divenuto concetto, più di quanto fosse già esempio deprecabile di architettura e urbanistica, e quindi causa della visita morettiana. Il film è diviso in tre capitoli: “In Vespa”, “Isole” e “Medici”, e se i primi due sono estate, il terzo è l’inverno dello scontento e della malattia che nessuno vorrebbe mai attraversare, a tenere tutto insieme c’è la voce di Nanni Moretti, il suo sguardo, la sua capacità di catalogare e anticipare – non a caso intuisce la deriva del cinema italiano, il suo sfasamento, che poi lo comprenderà – e soprattutto annota, e ventotto anni dopo va ancora a leggere in giro i suoi Diari e Feltrinelli lo corteggia per pubblicarli. Perché Moretti – allora splendido quarantenne per autocertificazione filmica – ha ancora ironia, sa ancora guardare, nonostante l’allontanamento da sé, tanto che su Instagram riesce a piazzare delle finezze meglio dei suoi Super8. È il re delle piccole cose, del dettaglio, dell’essere sghembo, sapeva infilarsi nell’ego della città, criticarne i difetti, cercare l’attico che non può comprare, fustigare il linguaggio di certi critici che lodano B-movie come “Henry. Pioggia di sangue” di John McNaughton, e rileggendo a uno di questi – interpretato dal bravo regista Carlo Mazzacurati – le sue parole compiaciute, perdute al senso, altisonanti e superflue, vendica anche la nostra delusione dovuta alla distanza tra recensione e film. Ma per fortuna c’è la vespa e le strade libere, Roma invasa dal sole, la possibilità di ballare al centro della strada, di dichiararsi d’accordo con una piccola minoranza di persone anche in un mondo migliore, e infine struggersi di nostalgia andando all’Idroscalo di Ostia a vedere dove è stato ucciso il poeta che contava la vita a estati: Pier Paolo Pasolini, appoggiandoci la prima parte del Köln Concert di Keith Jarrett. Poi comincia il capitolo “Isole” e l’estate silenziosa, la Roma svuotata, lasciano lo spazio al casino vacanziero, al vagare da ulissidi, tanto che l’amico che Moretti va a trovare a Lipari, Renato Carpentieri / Gerardo si è “isolato” per rileggere e studiare l’ “Ulisse” di Joyce. Ma non c’è pace, e allora si passa a Salina dove ci sono i figli unici, una dittatura bambinesca, che li ossessiona, così Gerardo riscopre la tivù che non guardava da trent’anni e la rilegge con i classici del pensiero filosofico, e Moretti si regala la più bella scena del suo cinema, e del cinema degli anni Novanta, una scena che riassume l’estate e la vita: lui su un campo di calcio fangoso, post temporale estivo, che passeggia pensoso e una nave che scivola di lato, pare sull’erba più che sul mare calmo, non vista, potrebbe essere quella di “Fitzcarraldo” di Werner Herzog, una impresa titanica e perduta. Poi Moretti tornerà al campo, per la sua seconda scena più bella, a palleggiare solitario, e a perdersi, prima di cambiare isola e arrivare a Stromboli. Dove l’influenza minacciosa del Vulcano crea una atmosfera elettrica con l’aggiunta di un sindaco – Antonio Neiwiller – che incarna il politico utopico che vuole connettere il sud al mondo, dall’agronomo giapponese che deve capire come ripopolare di verde l’isola passando per il sogno di avere la colonna sonora di Ennio Morricone tipo “Sean Sean” di “Giù la testa” o i tramonti a cura di Vittorio Storaro. Qua Moretti anticipa tutte le città della cultura, i festival osceni, le trasposizioni pacchiane, i paesologi, le abbandonologhe, e tutti quelli che su una suggestione sentimentalaffaristica vogliono un sud contaminato e/o protagonista di storie che non lo riguardano. In pratica il sud di oggi. Il film è del 1993, c’è spazio per ironizzare su “Beautiful” prima che arrivasse “Lost”, e per bordeggiare la pazzia ad Alicudi. Dove l’estate è assenza e ricerca, priva di elettricità, tanto basta per irridere Enzensberger e Popper, prima di affrontare l’inverno e la malattia, per rinascere.