Tutta la storia di “Diego, desde adentro” – Planeta (edizione in spagnolo, da tradurre subito) di Luciano Wernicke e Fernando Molina che aiutano Fernando Signorini a ricordare la sua straordinaria vita di preparatore atletico al fianco di Maradona, può essere riassunta con una frase scritta dal fumettista e scrittore di Rosario, Roberto Fontanarrosa: «Non mi importa quello che Diego fece con la sua vita, mi importa quello che ha fatto con la mia». Perché fin dal primo incontro a Barcellona nel 1982, quando Signorini va a vedere gli allenamenti di César Luis Menotti – del quale diverrà assistente – a spese sue, una scommessa su se stesso partendo da Lincoln, Argentina, e si ritrova un passo alla volta travolto dall’umanità di Diego Armando Maradona. Se un collaboratore di Menotti non avesse riconosciuto il suo accento argentino, dopo giorni di respingimenti ai cancelli del campo di allenamento del Barcellona, Fernando Signorini, l’uomo che ha contribuito a fare del migliore giocatore del mondo il migliore della storia, non avrebbe mai incontrato Maradona, divenendone l’ombra. Negli anni, ha commesso un solo errore, involontario, ha detto ad Asif Kapadia che con Diego sarebbe andato in capo al mondo ma con Maradona non avrebbe mosso un passo, per poi accorgersi che le due entità non sono separabili, anche perché come gli risponde Diego – e nessuno se lo ricorda –: senza Maradona sarei a Villa Fiorito e tu a Lincoln. Tanto che poi Signorini alla fine delle sue memorie ammette che pur essendo alto, biondo e con gli occhi celesti, deve tutto a un ragazzino scuro e villero. Diego è entrato nelle vite di moltissime persone come dice Fontanarrosa, ma soprattutto in quella di Signorini, tanto che quando lo richiama dopo anni di buio, per la nazionale argentina, Fernando mette “Gracias a la vida” cantata da Mercedes Sosa, mentre lo raggiunge a Baires, perché riprendeva il viaggio dello stupore. Poi lo ha salvato, ricambiando, lo ha ripreso quando si perdeva nella droga – a lui offerta e rifiutata – divenendone l’autorità morale, lo ha ricostruito quando Andoni Goikoetxea gli ruppe la caviglia – anni dopo il basco lo ringrazia per aver alleviato la sua colpa – o quando la cocaina lo riconquistava, portandolo da Antonio Dal Monte, e supportandolo quando andava in astinenza. Le molte intuizioni di Signorini hanno prolungato la grandezza di Maradona, ne avremmo vista molta di meno senza il saggio preparatore atletico, che è anche quello che aiuta l’intelligenza strategica di Diego ad avere una forte coscienza di classe, il racconto del primo incontro con Fidel Castro è meraviglioso. Come sono meravigliosi i ritratti intimi di Menotti e Bilardo, i due grandi allenatori argentini, contrapposti per filosofia e carattere, eppure fondamentali sia per Maradona che per lo stesso Signorini, che sempre seguirà Diego in ogni squadra. C’è tanta Napoli, che Signorini ha compreso e amato. C’è l’umanità enorme di Maradona, quella che viene spesso dimenticata, come il suo istinto rivoluzionario e la sua intelligenza famelica, che arrivava ovunque, acquisiva, masticava e digeriva. Da come si sta a tavola con i re a come si boxa con i campioni. È una biografia molteplice e densissima: con Maradona visto da dentro, ma anche un altro ragazzo – oggi settantenne, Signorini – che cresce con lui, e vive le accelerazioni temporali maradoniane con fatica, tenendo il passo fino al 2010, poi lo perde, come tutti noi. Perché Maradona è sempre stato altrove, immarcabile: per i difensori come per i cialtroni, per chi gli voleva bene e chi no.