Whole Liotta Love

188-1889897_ray-liotta-hd-1536x864Philip Roth e Paul Auster, Joe Pesci e Frankie Valli, i Soprano e Brian De Palma: troppi debiti di amore con Newark, soprattutto adesso che muore il suo bravo ragazzo, che nonostante le trame non è riuscito mai ad essere uno qualsiasi, una totale nullità, uno schnook: Ray Liotta.

Per curiosità: ma che ve magnate a Newark?

«As far back as I can remember I wanted to be a gangster».

Adottato e legato in maniera indissolubile alla cultura italo – americana, in tarda età scopre di essere prevalentemente di origini scozzesi. Non è tanto assurdo che un discendente di William Wallace si sia ritrovato nelle risse di Jonathan Demme.

Da uomo dei sogni che non sapeva di essere, fin da bambino, fa qualsiasi sport: basket, football e ovviamente baseball. All’ultimo anno di liceo, il campionato di basket si interrompe e un’insegnante lo costringe a seguire un corso di teatro. Del resto, recitare e giocare fanno sempre parte del play.

Come in una canzone di Bruce Springsteen, il destino decise per lui. Al college va per iscriversi a lettere, ma capisce che è più complicato del previsto. L’aula accanto era recitazione, e anche se non gli piaceva particolarmente: «C’era una ragazza così carina».

Per anni si è interrogato sul perché Scorsese non l’avesse più richiamato dopo “Quei bravi ragazzi”. Ora sappiamo che anche Scorsese non è perfetto: perde tempo con Monda e non richiama Ray Liotta.

Ha passato la vita a scappare da regolamenti di conti e gangster, moglie e serial killer. Per dimenticare tutto il cinema che lo stava fagocitando in un solo ruolo, decise di mangiare il suo cervello in “Hannibal”.

Dopo “Goodfellas” dal ruolo centrale abitò la lateralità. Che sia per scelta intenzionale o costrizione non interessa. Perché è nei personaggi al margine, i più piccoli, che si insediano le grandi storie.

Da preda degli avvocati per le sue deposizioni in “Quei bravi ragazzi” ad avvocato squalo divorzista in “Storia di un matrimonio” di Noah Baumbach. Perché l’età gioca a ribaltare i ruoli quando meno te l’aspetti.

«We always called each other Goodfellas».

«Ray sembra avere dentro un calderone bollente – afferma Alessandro Nivola – e non sai mai quando potrebbe scoppiare». Più che una nota caratteriale, è un dato ambientale: non si può non cambiare dopo i tegami di ragù e polpette della madre di Martin Scorsese.

Tutta la sua carriera oscilla tra i pazzi maniacali e i calmi votati alla saggezza, come in “Blow” accanto a Johnny Depp. Non c’è una reale predilezione o somiglianza con il suo carattere, perché: «Ehi, sono entrambi divertenti».

Così come non ha insistito per ottenere una parte ne “I Soprano”, così non si era mai rivisto ne “L’uomo dei sogni” perché sua madre era malata. Il tempo da destinare al cinema è già troppo, per pigrizia e gioia di vivere, non bisogna mai regalarglielo completamente.

Liotta sapeva che era tutto inutile, così come era falso il mondo dello spettacolo. Se ne fotteva. Recitava sul set dalla mattina alle 6 e poi tornava in albergo a guardare un po’ di tv, servizio in camera e solitudine. Perché un conto è recitare, un altro discorso è fingere.

«Recitare è solo un modo divertente per guadagnarsi da vivere».

Stanislavsky passi all’università ma, una volta presa la laurea, vanno benissimo le telenovelas.

Si è sempre dei padri migliori di quello che si pensa. La prima volta che Liotta vede con la figlia “Quei bravi ragazzi” tenta di spiegarle tutto: l’infanzia, i problemi economici, la mafia, la violenza. E per tutta risposta riceve: «Oh mio Dio, vuoi stare zitto per favore?», rubandolo a Raymond Carver.

Aveva gli occhi color Paul Newman, la risata isterica di Robert De Niro e una bellezza tale da far innamorare qualsiasi Lorraine Bracco. Tutte le carte in regola per essere un artista. Peccato che cercavano solo attori.

Per gli studi di recitazione lavorò in un cimitero e tra i primi film ebbe l’occasione di tornare da morto in un campo di grano allestito da campo di baseball. E anche oggi ci piacerebbe pensare che per lenire il nostro dolore, se lo costruissimo, lui tornerebbe.

«Che tu possa avere sempre il vento in poppa, che il sole ti risplenda in viso e che il vento del destino ti porti in alto a danzare con le stelle».

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