Davis contro Golia. Quando il tennis smashiava la storia.

285647209_1058714268363063_7722993635078394299_nDa «Batti lei?» agli scolapasta d’oro, tra cinema italiano e Coppa Davis c’è più osmosi che separazione. Dopo le spalle tristi per Moretti e gli allenamenti di Garrone con Nick Bollettieri, arriva “Una squadra” di Domenico Procacci, epica di un tempo perduto e sigillo di un legame tra narrazione e azione.

Per calcolare la distanza dal 1976: una canzone di Domenico Modugno valeva più di una relazione di Gian Carlo Pajetta. Oggi abbiamo solo foto di trapper tra cocktail, salotti e concerti.

Due doppi come due Italie. Zugarelli e Barazzutti per la quota provinciale, risparmiatrice e tradizionale. Bertolucci e Panatta, la vertigine di una gioventù che si apriva al futuro. Due visioni e due mondi eclissati.

Se Zugarelli è un personaggio di Antonio Pennacchi, Barazzutti non può che essere scritto da Mario Soldati. Difficile non pensare a Rodolfo Sonego per la comicità sordiana di Bertolucci. E se Panatta è immortale e irridente come Trilussa, Pietrangeli scopre di essere uno dei Gattopardi.

Che poi è ‘n micio che vole esse gattopardo, potrebbe dire Panatta. Eppure di tutta l’epica prodotta in vittorie, si dimostra un monarchico da “Una vita difficile” di Dino Risi, con la paura di essere dimenticato senza darsi pace: perché nessuno vuole bene ai miei record? Perché?

Altro universo è Bitti Bergamo, un fantasma uscito dal giardino dei Finzi Contini: eleganza europea e distacco, come Bassani sul campo da tennis. E proprio come il giardino di Ferrara, è stata una speranza per gli italiani di essere diversi e non si è mai concretizzata.

Un appartamento al Fleming per Bertolucci e Panatta. Una vita da marito e moglie senza esserlo, se non per i litigi. Cinquanta metri quadri in cui erano ospiti anche Arbore e Marenco. Un duo comico che non ha niente da invidiare a Matthau e Lemmon. Non un doppio per il tennis, ma per “La strana coppia” di Neil Diamond.

Rischiò tutto insegnando Franz Kafka a Mike Bongiorno, sfidando l’apartheid in Sudafrica ma soprattutto smashando al posto di Panatta. Monica Giorgi è un’irripetibile scheggia del tennis italiano: atea e anarchica, ha costituito l’associazione “Niente più sbarre”, per le condizioni dei detenuti in carcere, testimoniando che c’è stato un tempo in cui l’atleta non si metteva semplicemente a disposizione del mister.

Baffi scuri da Burt Reynolds, ma più che Navajo Joe, Zugarelli è Django di Sergio Corbucci. Per la Davis in Sudafrica sono i neri a tifare per lui, capendo che il tennis non è una guerra vinta, ma una battaglia per cambiare le cose. E se all’apparenza è granitico come un bronzo di Riace, quando Arthur Ashe si complimenta con lui, si emoziona e perde. Come da bravo antieroe. «Oh Zughy, Zughy, baby».

Bertolucci incarna lo spirito di Sordi: quando insiste per cambiare la maglietta rossa in Cile, è Oreste Jacovacci de “La grande guerra”, “Un eroe dei nostri giorni” quando allontana Renato Zero e Loredana Berté, pigro e sonnolente, una “valigia” come risultato di “Una vita difficile”. Il suo tennis è quello da una enne sola, indolente e romano come la “guera” di Monicelli.

Barazzutti, già come suono è un pistone assemblato in Fiat, un ciclo in fabbrica, una marcia militare sabauda, rigore e costanza da tinte piemontesi. Ha una caparbietà da tennis nervoso, che prendeva per sfinimento, e a Panatta rompeva le palle dalla noia.

Tutta altra storia per Panatta e il suo tennis salgariano. Pieno di slanci e creatività, anche quando c’è da descrivere un misterioso giocatore Bye per Massimo Di Domenico. Ha vissuto, sperperato in larghezza e sempre con l’azzardo, andando sotto rete. E se Zugarelli gli chiede: «Ti ricordi?». Da uomo in pace, si è lasciato tutto alle spalle, comprese le sue racchette.

Ha un principio di dissipamento da Best, eppure Panatta ha iniziato a dominare il gesto e l’istinto, per non lasciare che prendessero il controllo. Senza rinunciare al Concorde o alle notti in discoteca. E quando la federazione per la Coppa Davis gli regala un Piaget, lo scambia per un Rolex in acciaio. Perché è sempre l’ora giusta per i rivoluzionari, dal Cile a Cuba.

Hanno modificato per sempre l’immagine del tennis in Italia. Così elitario e solitario, da sempre considerato per pochi, con una squadra composta anche da figli di muratori e guardiani, gli italiani capirono che andare a rete e vincere un set non è affare solo per pochi.

Dove è finita l’agenda di Borsellino, chi ha preso i soldi del Belice e il tesoro di Dongo? Ma soprattutto chi ha chiamato Bitti Bergamo per sostituire Nicola Pietrangeli? Misteri italiani. Ci manchi, Giovanni Minoli.

Nicola Pietrangeli è l’attaccante che manca alla nazionale di Mancini. Perché era impegnato col tennis altrimenti nessuno avrebbe saputo di Chinaglia e Riva.

Cacciato in Jugoslavia dalla squadra durante la Coppa Davis, la rissa a Barcellona con i tifosi spagnoli, le pressioni e il gelo al Tesla arena per la vittoria della Cecoslovacchia. C’è più cinema nella vita di Panatta che le commedie in cui ha recitato.

Riscrittura della partita di “Blow Up” di Michelangelo Antonioni. Dove nel film la palla non esiste, nella partita di Coppa Davis a Barcellona quello che manca è la pazienza di Panatta. Nonché la divisa di Zugarelli.

Potevano vincere almeno un’altra Davis, forse due, ma la costanza annoia. E poi Nicola Pietrangeli aveva già più foto a disposizione della squadra.

Lo scontro televisivo Pietrangeli/Panatta potenzialmente aveva tutte le premesse per essere un match tra il wrestler Jerry “The King” Lawler e Andy Kaufman.

«Il talento ha bisogno di tempo».

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