Guappo’s way

290094806_979286912740783_4485881566023640654_nRaffaele La Capria diceva che il cane Guappo aveva il profilo di Anubi, per gli egizi la divinità legata al regno dei morti. Non sbagliava, e anche se ora il suo respiro ricorda la risacca è rimasto il cane intelligentissimo che lui ha raccontato in molte pagine.

È stato contento di rivedere il suo padrone?

«Sì e no».

Ma come?

«Nemmeno il tempo di fargli le feste che subito sono ricominciate le corse, il lancio della pietra, e, cazzo, chiedimi prima come sto, a parte che qua, senza saliva, non è facile per nessuno, figuriamoci per un cane».

Signor Guappo, chi decise tra voi due di andare al Circeo?

«Lui, decideva sempre lui. Io poi sono un cane vigliacco e pigro, mi piace farmi guidare, ma non immaginavo l’inganno, almeno poteva dirmelo, spiegare, un cane da uno scrittore si aspetta almeno una favola di fine vita, una metafora, chessò una poesia, mi porti a morire e non mi dici niente? Che scrittore sei?»

Ma era una forma di rispetto, una morte dolce.

«Mica tanto, e poi l’avevo capito, perché quella volta a raccogliere la mia cacca non c’erano i soliti scrittori di famiglia, ma fu proprio La Capria a chinarsi. Se il principe si degnava, c’era qualcosa di strano. Poi è stata tutta nebbia».

Mi sembra di capire che c’è ancora dell’astio, non è un cane pannelliano, invece La Capria sposò la causa radicale.

«No, io sono un qualunquista. Vado a naso, per dire: le ascelle di Bossi mi ricordavano un vicolo di San Pasquale a Chiaia dove mi liberavo, e quindi una volta alle europee votai Lega, un sollievo. L’ho anche abbaiato, a una giovane scrittrice meridionale, ma tanto nessuno capiva niente. Ma lei ha idea di che vuol dire assistere alle riunioni di Nuovi Argomenti? Una noia, con l’aggravante d’essere anche annoverato tra i presenti nei verbali, un vezzo di Raffaele, e una condanna per me. Tutti ad accarezzarmi nella speranza di essere poi nominati nella passeggiata dei bisogni, in più mi dava da leggere anche i loro manoscritti».

E vuol dire che tra i tanti scrittori di Nuovi Argomenti non le piaceva nessuno?

«Guardi, io dopo quelle letture e quelle riunioni, per tornare in me ascoltavo Gigi D’Alessio, che piaceva anche a Raffaele, però non poteva dirlo ai giornali. Gli piaceva più Gigi della Kidman, solo che il primo era tabù».

Forse una domanda indiscreta: ma lei quale dei quattro cani di De Gregori si sente?

«Io sono un cane ‘e munnezza, le pare che De Gregori possa immedesimarsi?  Mi sono sempre sentito l’italiana in Algeri, soprattutto a Capri. De Gregori non sa niente di noi cani. Un esperto di pensiero canino è Marco Paolini, invece, i suoi cani del gas sono un testo fondamentale».

Ma quindi lei qualcosa legge.

«Ma poco, eh, non cominciamo a ingigantire. Qualche poesia di Rimbaud, qualcuna della Szymborska, mai letto Nuovi Argomenti, mi bastavano le riunioni».

E degli scritti di La Capria?

«Purtroppo dovevo leggere tutto, perché già Ilaria se la scampava dicendo fai leggere a Guappo che ha fiuto, hai visto come trova le cose in giardino. E, infatti, trovavo sti refusi, una marea, dovuti allo scrivere a macchina. Tanto che un pomeriggio mi sono messo ad ululare, dicendo eh no, Raffaele ti devi comprare un pc».

Ho notato che lei non lo chiama Dudù come tutti.

«Io sono un cane, ho rispetto, le sembra un nome da padrone? Voi italiani per accorgervene avete dovuto aspettare il cane di Berlusconi, tra l’altro un barboncino, cioè l’equivalente di un biondino».

Signor Guappo lei è un cane con un caratteraccio, diverso dai racconti lacapriani.

«Ma la letteratura è finzione, si addolcisce, sull’addolcire persino il male in molti di voi ci campate, ma una cosa è arrivarci a fine mese, un’altra è crederci. Raffaele era così, diceva che avevo un radar che trovavo le pietre che lui lanciava – a Capri con tutte quelle scale – e io trovavo, in realtà non era vero, io gli riportavo pietre simili, e lui mentiva all’amico che preso dal numero da circo e dalle parole del padrone: ci cascava. Adesso glielo posso dire: io ho sempre avuto problemi di vista, figurarsi se trovavo quelle cazzo di pietre. Un gioco sadico, da imperatore romano».

Lei sta distruggendo il racconto di La Capria.

«Non io, la morte».

Beh di solito è il contrario.

«Per i giornali non per noi cani».

Ma ci dica almeno un pregio.

«Si mangiava bene a casa La Capria, ma era merito di Ilaria».

Su, Guappo, un pregio.

«Raffaele era un voyeur, mi portava al parco, cercavamo la cagnetta giusta, devo dire che aveva più fiuto di me, e poi gli piaceva guardarmi all’opera. Faceva così anche col fratello Pelos».

Seriamente.

«Era un illuminista quotidiano, un bambino saggio, dispettoso e ironico. Si divertiva a fare il Richelieu o se vuole un viceré: tenere a battesimo, ripudiare, ma con fastidio. Si lasciava blandire, si sminuiva per innalzarsi, sapere che “Ferito a morte” sarebbe rimasto gli dava la possibilità di giocare. Mi piaceva molto il concetto di vita come occasione mancata. E il fatto che poi tutto sta nel suo surrogato. Pensi a quelli che sbagliano pure il surrogato».

Lei sa che questa sua ferocia, questo suo disincanto, stando al teorema che i cani finiscono per somigliare ai padroni, la condanna.

«Ma io non ho paura dei miei difetti: sono un vigliacco, un umile per convenienza, un sottomesso con gioia, un Giuda tigrato fedele solo alla ciotola, ero un cane pulcioso, spelacchiato, puzzolente, forse pure valente, ma poi ha idea dell’aria che si respira alle presentazioni, lei è mai stato alla Milanesiana? È come andare in vacanza a Chernobyl».

La scena più triste?

«Una passeggiata a Villa Borghese col bassotto di Giuliano Ferrara che mi parlava delle crocchette della Cia».

Quella più meschina?

«Difficile fare una classifica. Leggendo molti ricordi è evidente che non lo amavano, lo riverivano. Ho l’impressione che si debba morire fin quando ci sono gli amici veri, gli amori veri, e non dopo, quando poi restiamo in balia dei servi, quando l’aneddoto è derivato, e il ricordo deviato dall’Io che cerca la celebrità riflessa».

Mi dica uno che si salva?

«Francesco Rosi».

Come mai?

«Era sincero, mi picchiava».

E Ilaria?

«Lei è un mondo a parte. Aristocratica in ogni respiro, Raffaele no. Una dea. Meravigliosa in ogni cosa. Mi manca».

Ma non la incontra?

«Non posso, per incontrarla sarei dovuto finire nel reparto cani d’attore, invece sto qua tra i cani di scrittori. Con questo vetro che ci separa come le prigioni da voi. Una noia, lo sente questo fischio melodioso che rompe le palle? Ecco, è D’Annunzio. Un continuo, preferisco quando viene in visita Malaparte, un casino triplo ma almeno ci sono le cagne ballerine e sembra che torni la vita».

[disegno Giosetta Fioroni]

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