Siani a pezzi

Giancarlo-Siani-0È una foto che hanno visto tutti.

Una notizia che non passa.

Un ragazzo.

Un esempio.

Una macchina.

Una verità ancora da scoprire.

Un pensiero.

Un nome.

Una scusa per moltissimi.

Un cervello spappolato come JFK prima e Marta Russo poi.

Due pistole, due killer, più mandanti di quelli condannati.

Scriveva, vedeva, rideva.

Non sappiamo che ha detto, se c’è stato un gemito o altro, sappiamo che i killer hanno fumato tanto, quando le sigarette dicevano più della carta d’identità.

Un corpo in una macchina.

Una macchina per i corpi sbagliati.

Un titolo brutto.

Migliaia di rassegne stampa.

Un mucchio di ricordi, articoli, saggi, libri, film e convegni.

Una folla che si raduna.

Un fratello tormentato dalle interviste.

Le lacrime di una madre, di una fidanzata, di una sconosciuta che lo scopre.

Non è caduto a terra, ma si è chinato di lato, come un salice di Rilke.

Un caso irrisolvibile, poi no, poi sì, giustizia è fatta, forse.

Una storia ricostruita.

Una storia sbagliata.

Una storia esemplare.

Una storia ancora da capire.

Una storia di pentiti.

Una vendetta.

Uno sgarro.

Un via vai di risoluzioni e riaperture.

Un capitolo unico.

Un capitolo chiuso.

Un capitolo aperto.

È stato un obbligo.

È stato una virtù.

È stato un martire.

È stato un abusivo.

È stato un dato generazionale.

È stato una riflessione collettiva.

È stato diverse perizie balistiche.

È stato molte deposizioni.

È stato un movente.

È stato diversi moventi.

È stato una gioventù che molti non hanno avuto il coraggio di vivere.

È stato il vento.

È stato un caso giudiziario con troppi giudici.

È ancora qua.

Un vuoto incolmabile.

Giovane e Inconciliabile.

Il suo sorriso migliore è quello di Libero De Rienzo.

L’unico paragone possibile è quello con Alex Langer.

Nelle lettere il suo linguaggio sembra quello di Paz: strunz, azz, fess.

È l’ombra inquieta di una città che ha paura del buio e accende lumini a chiunque e innalza altari, parla con i santi, col sangue, con i morti, pur di non parlare con se stessa.

Se fosse vissuto sarebbe diventato chissà, oppure no.

Ora è un per forza.

Un nonostante.

Uno che sta qua e deve vegliare sugli errori di battitura, pensiero, grammaticali, logici, politici, scolastici, di presunzione, di timidezza, di grandezza.

È un carro.

Un innocente.

Uno che voleva viaggiare, forse raccontarlo, oppure no.

È diventato una cartolina.

Un incentivo.

Uno spazio: da occupare, tutelare, consumare.

Un muro.

Troppi murales.

Un aggiornamento.

Una stella.

Il nome per tutto.

Il nome del coraggio.

Il nome dell’ingenuità.

Il nome della giovinezza.

Ecco.

[questo pezzo è nel libro che Il MATTINO vi regala oggi]

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