Vialli, il ribelle al dolore

7112910_14134147_dd47e9c058783ab6e97b47e77f09e400Si mette a sedere Gianluca Vialli, cambia posto, come una orchidea piegata dalla luce, ha bisogno di più aria, di riflettere sulla meraviglia delle cose guardate e fatte. In questi anni c’ha abituato alla sua lotta, ne ha fatto una cronaca discreta dove pudore e dolore non si lasciavano mai scavalcare dal dettaglio. Ha un cancro, uno di quelli più duri, al pancreas, ma ha 58 anni e nessuna voglia di smettere di vivere. L’impressione dei suoi gesti da malato ha inciso ancora più splendore su quelli da sportivo – è sempre stato un calciatore punk, uno da azzardo e capriole, fango e rovesciate – ferocia e purezza hanno preso il sopravvento sul palmares. Vialli, ha mostrato il suo viso divenuto uno straccio sporco, il suo corpo dimagrito, e ha dichiarato il percorso. Con coraggio ha affrontato operazione e cure, aiutando anche chi compie la stessa sottomissione alla malattia, ma senza l’attenzione di giornalisti, lettori e tifosi. Poi è tornato, ha accettato l’invito della Figc e del suo CT Roberto Mancini, diventando capo delegazione della Nazionale. L’ennesimo cross, questa volta fuori campo, sono andati, insieme, a vincere a Wembley, rimediando a una sconfitta subita con la Sampdoria, abbracciandosi trent’anni dopo sul campo e tornando a piangere, questa volta di gioia. Un tempo supplementare, una storia da tramandare, una stagione buona quando non sembrava più possibile. Dopo c’è stata la delusione del mondiale mancato, forse chissà, con una gioia in più non avremmo questa nuova rinuncia: «Al termine di una lunga e difficoltosa ‘trattativa’ con il mio meraviglioso team di oncologi ho deciso di sospendere, spero in modo temporaneo, i miei impegni professionali presenti e futuri». Il presidente federale Gabriele Gravina, Roberto Mancini, i calciatori di ieri, oggi e domani lo hanno abbracciato e sommerso di messaggi. È una fase delicata della malattia, richiede riposo e concentrazione, Vialli non può stare dietro ad altro. Apre una nuova possibilità, crea di nuovo immedesimazione, consegnando speranza a chi vive la stessa malattia o altre senza attenzione: è come se accendesse la luce in una stanza buia, dicendo: ecco, siam qua. Con serenità, persino con leggerezza. In ogni intervista lo sfrontato Vialli calciatore, divenendo altro, con dolcezza e fermezza, ha ribadito di avere paura, certo, preoccupazione, tanta, ma non disperazione, e il suo equilibrio è diventato forza per molti. Per un paradosso, Vialli sta allenando la squadra più numerosa ed importante del mondo: quella della salvezza. Lo splendore del suo essere stella fissa, la dedizione al vivere – giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno –, il suo attraversare i mattini di freddo con il respiro accordato male, bordeggiando le tenebre, lo hanno reso ancora più importante, uno zenit di speranze. Vialli lotta e dietro, di fianco, con, ci sono gli altri che si immedesimano, e quelli che stanno bene vengono attraversati da un lampo, forse diventano, o almeno si sforzano, di essere migliori. Una catena di umanità che fa un gradino in più, uno scarto rispetto all’ignoto, al male, alla normalità dell’essere. Vialli si rimmerge nella trafila ospedaliera, del c’è poco da raccontare, tocca lasciarsi andare, fidarsi e aspettare, in un continuo domandarsi e domandare a mezza voce, con più esperienza e un pizzico di paura in più, ma mentre lo fa, salva il mondo, per ogni passo in più, per ogni sorriso in più, gesto – anche stupido – in esubero, sposta l’ombra, riaccende il battito, rimanda la durezza, e permette ai suoi figli di vedere un sentiero che sembra di nuovo vasto, seppure selvaggio e con insidie. È un mandare a dire, un riassetto continuo. Sei fuori posto, poi no, poi sì, poi no. Un continuo cercare e cercarsi, ribellandosi al dolore, nei limiti del destino. Vialli sogna la volontà di conquista del vento, e noi con lui, agguanta le giornate a morsi, e noi con lui. Per questo siam qua: “non per orgoglio del compito svolto / ma per orgoglio del compito / qualcosa rimane nel nostro dire”, ha scritto il poeta Pierluigi Cappello, che la condizione precaria del dolore l’ha affrontata per tutta la vita, lasciando ai versi l’agire dei movimenti perduti.

 

[uscito su IL MATTINO]

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