I collezionisti dell’effimero

327592251_572660001479419_2473070263969529092_nPrima di essere deportata ad Auschwitz, Irène Némirovsky, fece in tempo a scrivere “Tempesta in giugno”, romanzo di un grande esodo, e tra le tante storie mi colpì quella di Charlie Langelet: il collezionista di porcellane che nel caos cerca di salvarle. E mi fece pensare al protagonista di “Utz” di Bruce Chatwin: Kaspar Utz, grande collezionista di porcellana di Meissen, che è costretto a difendere nella Praga “normalizzata” dopo l’invasione sovietica. Chatwin scrive il suo romanzo come la Némirovsky poco prima di morire. Entrambi si erano trovati nella condizione – poi trasposta nelle pagine – di dover salvare l’indispensabile (su questo va letto “La Valigia” di Sergej Dovlatov che si trova davanti a una codificazione del salvabile a pensare «Ma davvero è tutto qui? E risposi: sì, è tutto qui»): la Némirovsky prima della caccia nazista in Francia era scappata dai pogrom in Russia; Chatwin aveva pochi anni durante la seconda guerra mondiale e, col padre ufficiale della Royal Naval Reserve, la madre si muoveva tra i parenti sparsi per l’Inghilterra e si ricorderà: «A casa, se ne avessimo avuto una nostra, c’era una solida valigia nera chiamata Rev-Robe, in cui c’era un angolo per i miei vestiti e la mia maschera antigas di Topolino». Il fatto che due grandissimi autori abbiano usato nei loro ultimi romanzi come oggetto da salvare: le porcellane, quindi l’effimero, mi conferma il carattere passeggero della nostra esistenza legata attraverso montaggi assurdi. Nel suo documentario, Werner Herzog, “Nomad: In the Footsteps of Bruce Chatwin”, a un certo punto dice che Chatwin: «Era Internet. Era Internet in un momento in cui tecnicamente non esisteva». Intende che Bruce collegava cose lontane tra loro, montava, connetteva, mondi lontanissimi. Lo dice per i suoi quaderni che gli appaiono come pagine web. È evidente che quando sta scrivendo “Utz” non poteva aver letto “Tempesta in giugno” e nemmeno “Suite francese”, ma ha avuto lo stesso pensiero ossessivo per le porcellane come la Némirovsky. Ora, possiamo dire che è solo un caso. Possiamo dire che nelle porcellane c’è il segreto del mondo, ma non la salvezza. Oppure possiamo dire con la teoria di Herzog della “verità estatica” nel cinema: che i documentaristi possono tirare fuori la verità più profonda dietro le cose rappresentandole in modi che sono in un certo senso esagerati o sbagliati. Quindi Chatwin è Internet, e ha trovato il romanzo prima che uscisse, ricordandosi di un collezionista di ceramiche che si aggrappa alla sua collezione perché gli ha rovinato la vita. Ma la Némirovsky non poteva conoscere quel collezionista, e allora ci saranno almeno due collezionisti di ceramiche a secolo che devono difendere le loro collezioni dal male e difendendole si rovinano la vita, ma rendono grandi i romanzi. Quindi collezionare le cose non solo è inutile, ma rovina la vita. E quando si scappa è meglio non avere porcellane, se non nei romanzi, per generare memorie come questa.

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