Rushdie: vittoria sulla parola morte

230213_r41865Il fotografo Richard Burbridge qualche giorno fa ci ha restituito la nuova immagine di Salman Rushdie. Dalle pagine del “New Yorker” lo scrittore torna a mostrarsi in pubblico dopo l’aggressione subita al Chautauqua Institution, nell’agosto scorso, e sembra un incrocio tra “Il Grinta”, John Ford e un reduce di guerra. Con la sua immagine esce anche il suo nuovo romanzo (che resterà a lungo), “La città della vittoria” (Mondadori, tradotto da Stefano Mogni e Sara Puggioni), e bisognerebbe festeggiare perché poteva essere l’ultima eco della sua voce, e invece sarà la conferma di una voce che ci sarà ancora a lungo, nonostante l’Iran e tutti gli integralisti che continuano a minacciarlo. La morte non lo avrà prima del suo tempo perché come dice il Grinta, “Rooster” Cogburn: «I gatti non hanno padroni». Mi ha sempre colpito quel Rush (fretta) e die (morire) che compongono il suo cognome, e quando il suo aggressore Hadi Matar (uccidere) si è annodato violentemente a lui: ho pensato a come tutto stia nelle parole. E come due verbi di fine vita non siano bastati per impedire a Rushdie di scrivere, perché non solo è Il Grinta, e un gatto, ma è anche un grande scrittore capace di sopportare l’aggressione delle parole che escono dalle pagine e diventano realtà.

[uscito su IL MATTINO]

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