Leggendo di seguito tutte le interviste date da Carmelo Bene in vita ho avuto l’impressione che invocasse la critica come un papa fa con Dio, forse perché aveva servito «un’infinità di messe». Sembrava ne avesse un bisogno fisico, che la sentisse sorella, madre, sposa, lui che era un cattivo fratello, non era stato poi un bravo figlio e nemmeno un marito modello. Che, insomma, Bene, riconoscesse alla critica il ruolo che oggi non ha. Quasi ne sentisse l’assenza sul palco, come se gli venisse a mancare la voce, un braccio, una gamba, un occhio. Certo, la voleva anche al servizio, al seguito, poi no, la desiderava schiava ma imparziale, vicina ma distante, un ossimoro in movimento. Voleva essere analizzato, capito, raccontato. Lo pretendeva. Ne parla sempre, sempre. In ogni intervista. La invoca, la blandisce, qualche volta la riconosce persino. In pochi momenti, grazie ai francesi, sembra anche contento, fuggevolmente. Continua a leggere