Archivi tag: Cesare Zavattini

La mosca di Zavattini

Che poi tutta la politica italiana è riassunta nel dilemma della mosca zavattiniana: salva l’insetto dalla ragnatela in cui si è impigliata e ne deduci che sia quello il suo destino; riponi la mosca nella ragnatela perché è forse quello il suo destino. L’operazione può durare all’infinito ed è così che si va avanti a Palazzo Chigi da dopo Ferruccio Parri ad oggi: oscillando tra fortunati e poveri.

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Il profeta Cruijff

Quando i giornalisti italiani andavano a intervistare Gabriel Garcia Marquez, alla fine, lui, gli diceva sempre la stessa cosa: «Lei torna subito in Italia?» Chiedeva con quel disincanto che i baffi accompagnavano alla perfezione, lo sprovveduto di turno rispondeva: «Sì, certo». E lo scrittore rilanciava: «Allora mi saluti Cesare Zavattini», buttando, distratto, l’amo, poi si voltava, aspettando la risposta che puntuale, dopo lo stupore, arrivava: Continua a leggere

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Za

zavattini2Za è una filastrocca allegra, una di quelle di Rodari, in apparenza semplice e scanzonata, ma mentre la leggi, ridendo, scorgi la complessità, il ritmo, la musica, l’ironia. Za è una lunga sequenza che stupisce. Za che s’illumina come Eta Beta, e ha sempre pronto una soluzione. Za in bici. Za che insegue la realtà. Za con il basco di sbieco e gli occhiali neri come una mascherina. Za che dice CAZZO alla radio. Continua a leggere

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Il blues del Po

Il Po è un blues per uomini soli, orfani di un mondo scomparso. A cantare è la voce di un pazzo, che attraversa paesi e città irrompendo nel silenzio di sperduti borghi, tenendo compagnia, volando nei campi, riempiendo giorni e notti: fra il frinire delle cicale, gracidar di rane e sgasi di trattori che arrancano rivoltando zolle di terra dura. Il suo è un lamento penetrante, nenia, che ricorda errori fatti, donne perdute, pesce cercato invano. È la vita che passa e gira, si perde e ritorna, sinuosa e incurante, specchio, sputo, ladro, giudice, testimone, accusa. Processo a cielo aperto, udienza continua, spada, mattini di nebbia e infiniti pomeriggi di sole. Piano piano entri nel suo lamento e in quello della sua gente. Devi stargli intorno come un chierichetto col parroco, assecondarlo, capire il rito, avere fede, e poi se hai cuore e fiato di stargli anche dietro senza perderti: impari ad ascoltarlo, e ne rimani rapito. Unisce più di uno stato, si porta dietro il fascino di una religione, ma a capirlo sembrano rimasti in pochi. I suoi 650 chilometri di bellezza negli ultimi trenta anni sono diventati una ferita, e tutti quelli che si avvicinano domandano solo del suo stato di salute, incuranti di quello che ha generato, ignorando le storie, le esistenze che trascina, le emozioni e le attese che ancora fortemente suscita. Continua a leggere

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