Archivi tag: Città del Messico

Taibo II: la redenzione comincia a Napoli

Napoli come città del perdono, che tutto assolve anche il più infame dei peccati. Per questo, Paco Ignacio Taibo II in “Redenzione” (La Nuova Frontiera), la allaccia al Messico, giocando col tempo, la storia e la geografia. È la menzogna che fa vivere i romanzi, quella che diventa credibile agli occhi del lettore, e Taibo lo sa, in lui vive il rimbombo di un continente, quello di lingua spagnola: slabbrato, scalcagnato ma sempre vivo; Continua a leggere

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Estadio Azteca: tra rabdomanzia deambulatoria di Maradona e correnti azzurro tenebra

Dove in principio ci furono la partita e il gol del secolo, una frustata di un terremoto ha aperto una grande crepa. Così l’Estadio Azteca, cattedrale del calcio, dei sogni e delle emozioni, mostra, come un ramo secco, la debolezza del Messico e della Terra. La faccia triste dell’America, il tempo straccia anche lo stadio, dove si costruirono momenti indimenticabili per buona parte dell’umanità – a prescindere dai confini nazionali –; e dove ora c’è una linea di demarcazione: che segna il prima e il dopo, la felicità e il dolore. Continua a leggere

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Ciotti e la precisione leopardiana

Sandro Ciotti ha disegnato partite nei nostri pensieri, ancora oggi, a noi cresciuti con la sua voce, ci capita di sentirlo gracchiare su Cruyff, o strologare sul festival di Sanremo, con le sue angolatissime camicie. Era elegante senza prevaricare, ironico senza boria, aveva giocato a calcio – e bene – e quindi dosava gli aggettivi nei giudizi degli altri calciatori, oggi tutti hanno un “pippa” per l’attaccante che sbaglia, Ciotti non l’ha mai usata una parola così, né gli ho mai sentito usare altre parole con disprezzo. Quando morì Gaetano Scirea, e lui, in diretta alla “Domenica Sportiva”, diede la notizia e fu costretto a fare un ritratto veloce del campione, usò il verbo illustrare: «Scirea si è illustrato da solo su tanti campi del mondo». Ciotti – narratore orale – aveva una naturale elaborazione e restituzione della realtà che sembrava uscirgli in endecasillabi, Continua a leggere

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Il cronista di Brera

Io la raccontai ai tedeschi, ed era come se un giapponese avesse descritto Pearl Harbor agli americani. Sapevo che in quello stadio avrebbero messo una targa: qui c’è stata una corrida non una partita di calcio – così cominciavo –, dove alla fine aveva vinto il toro (ai tedeschi la metafora piacque molto). Nel 1970 ero un ragazzo e lavoravo per “Die Welt”, madre tedesca e padre italiano, ero cresciuto in Germania, e per amore tifavo Brasile: c’era una Città del Messico anche nel mio cuore. Continua a leggere

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Piero Manzoni

Piero_Manzoni_foto_Giovanni_Ricci(1)Criticato, deriso, sottovalutato. Stimato, esaltato, ammirato. In questa oscillazione di giudizi c’è Piero Manzoni. Genio e ironia.  Pittore, scultore, artista materico-concettuale, anticonformista, figlio di Marcel Duchamp, fratello minore di Yves Klein, padre di Damien Hirst (e dei suoi animali morti esposti sotto teca) ma anche della beffa di Livorno (quando tre studenti burlarono buona parte della critica d’arte con dei falsi Modigliani). Incarna in pieno lo sconcerto che sempre creano le avanguardie. Il dubbio dell’arte moderna.  Magnifico, effimero, mutante, linguaggio che porterà – oggi come ieri –  un padre, un maestro, un prete, un pensionato ad arrampicarsi su un’opera di Maurizio Cattelan, a dire che c’è un ragazzo che disegna meglio di Pablo Picasso o che sa fare tagli e buchi come e più di Lucio Fontana. Continua a leggere

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