Il suo miracolo vero è aver fatto di sé una dimensione geografica. Le persone non dicono sono o vado a San Giovanni Rotondo, ma sono o vado a Padre Pio, come se fosse una città e non un santo e prima un uomo. La lingua è nazione, oltre che anima. In questo caso spia della prima città nata come estensione di un corpo, figlia della nostalgia e di un forte sentimento di contiguità con la santità e la sua forma terrena riconosciuta nel cappuccino di Pietrelcina – secondo i fedeli e la Chiesa –, che si va ricostruendo con immagini e video nelle case degli italiani e su YouTube, e che si materializza nelle statue di Padre Pio deposte per le strade del mondo: qualcuno prima o poi le conterà e ne farà una mappa alternativa – della fede e di San Pietro. Gli uomini e le donne che vengono qua sono sì fedeli ma anche e soprattutto montatori di un grande unico film, che ha lo scopo di far esistere Padre Pio Town, seppure inconsciamente, dove il santo vive in continua contemporaneità con i suoi fedeli. La sceneggiatura ce l’han messa i frati, allestendo un santuario che è corpo e ricordo, faccia e pensiero votati a quando c’era LUI, il resto – il film – è venuto da sé: con le macchine digitali e i telefonini con telecamere. Milioni di comparse e di registi. È la religione dei polpastrelli che si manifesta con i pixel. Ma questo lo capiranno fra un po’ di tempo, se provate a chiedere perché invece di pregare scattano foto o riprendono la cella e la fila per arrivarci non sanno rispondere, qualcuno che è più avanti molla un: «per condividere». Continua a leggere →