Archivi tag: Ermanno Olmi

Massimo Fini: antologia di un altro mondo

2971075Massimo Fini è uno dei pochi temporali giornalistici che hanno attraversato l’Italia. Per capirlo basta leggere o rileggere la sua recente raccolta che mette insieme reportage e interviste: “Il giornalismo fatto in pezzi” (Marsilio) e che pezzi, quasi tutti impensabili oggi, soprattutto per il tempo speso dietro gli intervistati o nell’andare a cercare le storie. Quello di Fini è un tempo lontano e dilatato, un tempo «a fondo perduto» come gli dice Oreste Del Buono che già negli anni settanta aveva capito che ne rimaneva poco per pensare e quindi per scrivere per bene. Oggi si perdono i lettori e non si insegue la qualità, evidentissima nella raccolta, ci sono alcuni “pezzi” altissimi come il reportage tra i contadini pugliesi dopo il rapimento di Aldo Moro che ne disegnano già la beatificazione senza sapere del martirio che sarebbe arrivato dopo; c’è una Milano perduta e non più riedificabile dell’editoria feltrinelliana intrisa di utopia e ricerca, dei bar di Jannacci e Bianciardi, e dei perditempo come Del Buono che hanno regalato ad editoria e giornali idee che oggi ancora si copiano; Continua a leggere

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Sofia Goggia: da valanga a proiettile

Da una vita esagerata a una generativa. Dalle uscite all’oro. Adesso non è più quella esaltante e stramba, la sciatrice dispari che scende scomposta: si lascia ammirare perché anomala, ma raccoglie meno di quello che potrebbe, no, ora Sofia Goggia è altro da sé, anche una cecchina e una samurai come si auspicava, è la prima donna a vincere un oro olimpico nella discesa libera. Continua a leggere

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Bearzot, prière d’insérer

Enzo BearzotUn patriarca da famiglia contadina: una sola parola, una sola faccia, un solo sguardo, intorno il silenzio. Enzo Bearzot, sergente del calcio passato per il Carso, schivo come Ermanno Olmi, imponente e lapidario come Rigoni Stern. Un difensore, un allenatore, timido, ruvido, che badava al sodo, che faceva del rispetto dell’altro – prima della vittoria – una religione. Il naso schiacciato da pugile, la pipa di sbieco, l’aria di chi non vede l’ora di andarsene, il maglione a girocollo da cantautore francese avvitato attorno al suo fisico da chiodo. Era stato con Rocco, piaceva a Brera e Pertini, aveva inventato Cabrini, resuscitato Paolo Rossi, fatto da padre a Bergomi e Conti, aveva portato l’osteria su un DC9 e nella notte di Madrid. Spiritoso, distaccato, burbero, mai cialtrone, mai fuori posto in quei due stati bugiardi che sono vittoria e sconfitta. Continua a leggere

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Il blues del Po

Il Po è un blues per uomini soli, orfani di un mondo scomparso. A cantare è la voce di un pazzo, che attraversa paesi e città irrompendo nel silenzio di sperduti borghi, tenendo compagnia, volando nei campi, riempiendo giorni e notti: fra il frinire delle cicale, gracidar di rane e sgasi di trattori che arrancano rivoltando zolle di terra dura. Il suo è un lamento penetrante, nenia, che ricorda errori fatti, donne perdute, pesce cercato invano. È la vita che passa e gira, si perde e ritorna, sinuosa e incurante, specchio, sputo, ladro, giudice, testimone, accusa. Processo a cielo aperto, udienza continua, spada, mattini di nebbia e infiniti pomeriggi di sole. Piano piano entri nel suo lamento e in quello della sua gente. Devi stargli intorno come un chierichetto col parroco, assecondarlo, capire il rito, avere fede, e poi se hai cuore e fiato di stargli anche dietro senza perderti: impari ad ascoltarlo, e ne rimani rapito. Unisce più di uno stato, si porta dietro il fascino di una religione, ma a capirlo sembrano rimasti in pochi. I suoi 650 chilometri di bellezza negli ultimi trenta anni sono diventati una ferita, e tutti quelli che si avvicinano domandano solo del suo stato di salute, incuranti di quello che ha generato, ignorando le storie, le esistenze che trascina, le emozioni e le attese che ancora fortemente suscita. Continua a leggere

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