Aveva l’amore per la meccanica insinuato nelle profondità del codice genetico: e ne fece vertigine. Ayrton Senna era il fondatore di un impero basato sui sorpassi impossibili, in spazi risicati, e in imprese che richiedevano uno spossamento pari solo a quello di certi stregoni di Haiti. Parlava con Dio, lo vedeva, e un po’ lo incarnava in qualche curva, certo, non nell’ultima, dove venne sacrificato. Oggi avrebbe sessantadue anni e no, non lo abbiamo visto invecchiare. È lecito immaginare un finale diverso, c’è il bivio, c’è quella possibilità, come ha fatto Quentin Tarantino in “C’era una volta a… Hollywood” ridando la vita a Sharon Tate, Continua a leggere