Fulvio Abbate sa controllare come pochi la Storia ed è capace di renderla familiare. Riesce nel gioco di proiettare nel proprio quotidiano, personaggi come Adolf Hitler «venne ad abitare da noi durante l’autunno del 1961», Ettore Majorana «le sopracciglia folte, una leggenda del mistero», Albert Camus «uno che ride mica tanto facilmente», con tutto il carico di altre storie che si tirano dietro, e di rovesciare le parti, trasformandoli in comparse rispetto al tempo che attraversa la sua famiglia. Così nel suo ultimo romanzo “Intanto anche dicembre è passato” (Baldini&Castoldi, pagg. 170, euro 15,90): Hitler diventa uno zio improvviso che tinteggia casa Abbate a Palermo e poi scopre un amore siciliano finendo nel nulla mafioso con la colpa di non saper bene rispondere a delle domande su uno sceneggiato tv. Continua a leggere