Archivi tag: Gallimard

La morte del corsaro nero

Già nel XVIII secolo Goethe aveva scagliato tuoni e fulmini contro gli editori, a quei tempi chiamati «librai»: «Sono tutti figli del diavolo, per loro ci deve essere un inferno speciale». E un altro classico tedesco, Hebbel: «È più facile camminare con Gesù Cristo sulle acque che passare con un editore attraverso la vita». Perfino il grande editore inglese Frederick Warburg si poneva questa domanda, pochi anni fa, nel titolo delle proprie memorie: An Occupation for Gentlemen? Più vicino a noi, Francisco Ayala, premio Cervantes, definisce il suo editore di Buenos Aires direttamente come «ladro». Continua a leggere

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Ruffiani

Ernest Hemingway ha scritto nel 1931, nei Consigli a mio figlio: «Non sposare mai le puttane | non pagare mai un ricattatore | non seguire mai la legge | non fidarti di un editore | o non coglierai mai la tua occasione». Sono così tanti gli scrittori beffati e offesi che sembra un miracolo vederli portati per mano dall’editore in quelle patetiche cerimonie che sono le presentazioni dei libri. Lì si può valutare la debolezza del poveretto: il suo ego si gonfia e le gote gli si colorano perché finalmente il paese conoscerà il suo capolavoro. La pedanteria è un peccato che l’editore non commette mai. Continua a leggere

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L’estate da Pointe-Noire a Santa Monica

È nei contrasti e nelle sfasature intenzionali tra violenza e ironia, che Alain Mabanckou, scrittore e poeta, manifesta la sua forza. Nato a Pointe-Noire, nella Repubblica del Congo, è poi emigrato in Francia, dove ha pubblicato, trovando lettori e un mucchio di riconoscimenti. È il primo autore francofono dell’Africa sub-sahariana a essere pubblicato nella prestigiosa collana Blanche di Gallimard. Inquieto, curioso, attraversato da variazioni linguistiche e culturali, ha lasciato la Francia per gli Stati Uniti, dove insegna presso l’università della California. Continua a leggere

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Non c’è che una stagione: l’estate

Quando dice: «io provo a fare commedie», abbassa la voce, ed è lì che viene fuori l’Enrico Vanzina che non insegue suo padre Steno ma prova a continuare la sua lezione, con amore, senza gara, anche dopo aver sceneggiato più di cento film. È bravissimo nel raccontare le storie della sua vita, nell’evocare i ricordi, cambiando voci e lingue, recitando gli incontri, mimando le facce e la gestualità delle persone conosciute, alternando leggerezza e malinconia, dettagli e campi larghi, è il cinema che si fa a parole, quello che precede la scrittura e poi il girato: che spetta all’altro pezzo della coppia, il fratello Carlo. Insieme possono dire di aver vissuto e di averlo saputo raccontare. A loro si deve il film che dopo “Il sorpasso” di Dino Risi è riuscito a catturare il sentimento dell’estate: “Sapore di mare”. «Noi volevamo proprio evocare “Il Sorpasso”, che rimane il film più bello del cinema italiano: un viaggio, una auto, due amici, ferragosto e il senso della vita. Abbiam cercato anche Catherine Spaak ma non poteva. E, poi, proprio quelli che i produttori non volevano, sono stati gli attori che più hanno beneficiato di quel film». Continua a leggere

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