Archivi tag: gheddafi

Estetica dell’Orrore

isis-libia-640864_tnAncora una volta i nemici dell’Occidente mostrano di aver imparato la lezione estetica del mondo che odiano, dopo le Torri gemelle, la gabbia che brucia il pilota giordano, arriva la spiaggia libica, bagnata dal Mediterraneo e sporcata dal sangue. Tutti avrete visto il video che mostra la decapitazione di 21 cristiani copti da parte dei tagliagole dell’Isis. Per un attimo – se vi riesce – dimenticate l’orrore che c’è dietro, il messaggio, la vendetta per la morte di Osama Bin Laden e bla bla bla, e concentratevi sulla costruzione dell’azione. Continua a leggere

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Il cerchio di Beatrice

I corpi di Gheddafi e di suo figlio Mutassim sono rimasti per quattro giorni in una cella frigorifera di un centro commerciale di Misurata, prima di essere seppelliti. Al dottor Marcus è parsa una scena dantesca. È come se il popolo libico si fosse arrampicato sulla cima del potere e avesse grattato con forza. E poi? Ci sono stati dei falò e delle feste intorno al fuoco. Che creatura era Gheddafi? La sua ostruzione alla democrazia e alla libertà che fonti aveva? I soldi, ok, ma bastano? E chi ha detto che la violenza si paga con la violenza, è realmente libero? Gheddafi è arrivato a noi come uno straccio. E prima si presentava come il tessuto costoso e inarrivabile, aveva una attrazione magnetica per molti paesi occidentali. Poi il respiro della morte ha sporcato tutto. Si insorge per la libertà che non si conosce, si va a cercarla come le cose nascoste o perdute. Lui, li aveva addestrati alla condizione animale, e ha ricevuto un trattamento da jungla. Continua a leggere

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quando le moto avevano i vasi fioriti

In pista non ha solo lasciato la vita, Marco Simoncelli, ma anche un vuoto, e una scia che, vagamente, l’Italia, avrà di nuovo. È morto come un Ettore, colpito al collo, in una curva – che sono le mura dei piloti: che tu stia attaccando o difendendo devi farci i conti –. Sotto il cielo della Malesia di Salgari, lo sguardo della morosa e di sua madre, oltre che in diretta tv. È la storia triste di un ragazzo normale, testa da re leone Madagascar, scomposto perché troppo alto, molto cowboy sulla moto, spavaldo in gara (Lorenzo gli aveva dato del pericolo pubblico), amava  Kevin Schwantz (il più pazzo di tutti i piloti), ma lontano dalle moto era sperduto (guardatelo nei fuori onda). Scanzonato. Continua a leggere

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Roba e Ribelli

Libertà non è partecipazione ma appropriazione. Libertà è Roba, e possesso di questa. Almeno a guardare i ribelli libici che si fanno fotografare sull’Airbus A340 di Gheddafi a Tripoli. Il kalashnikov sulle ginocchia e il telefonino fra le mani per scattare la foto ricordo della meta raggiunta, i luoghi, le case e le cose di Gheddafi, normalizzate con la presenza di ragazzi: che come i loro coetanei occidentali, si fanno ritrarre di fianco alla star, o nei luoghi che furono della star. C’è chi si sente un pilota per un giorno, chi rais per qualche ora, disteso nel suo letto. Altri salutano dall’accesso all’aero, sulla pista. Prima erano state le case del dittatore e dei suoi figli, in scene che sempre uguali si ripetono: dalla Romania all’Iraq. Guardando le foto degli assalti alle case dei dittatori si può sentire: “andiamo, venite, andiamo” che scandisce la voglia di rivalsa, bisogna prendersi tutto, ancorare la libertà che manca agli oggetti di valore, depredare il capo per pareggiare il vuoto della democrazia subito. Hanno l’ansia degli alpinisti quando danno la caccia alla meta, e forse anche la loro soddisfazione, ma un domani diverso. Perché l’alpinista sa che il monte, la cima, non gli appartengono, con il ribelle c’è il rischio che possa pensare proprio che l’aereo gli appartiene, la casa gli spetti, il divano sia un cimelio della lotta. E spesso è proprio quell’appropriazione a trasformare il ribelle in bandito, la giustizia in furto, la rivalsa in omicidio. Lo so è sottile il confine, tra l’esibizione del potere che ne faceva Gheddafi – anche se poi dormiva in tenda – e la violazione che è la prova della sua caduta e della sua effettiva relegazione alla tenda e quindi alla precarietà. Continua a leggere

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Here comes the pain

“Il Presidente del consiglio Silvio Berlusconi questa mattina, a Milano, è stato colpito da un attentatore, pare di origine algerina, identificato come Nim, non sappiamo ancora se questo è il suo nome vero o il suo nome in codice, le condizioni del premier sono apparse subito gravi. Raggiunto da due colpi: uno all’addome, l’altro al viso. È stato subito elitrasportato all’ospedale San Raffaele di Milano. Berlusconi si era fermato come di consueto a salutare la gente che lo acclamava numerosa, prima di intervenire in un convegno voluto da Don Verzé, sull’ urgenza di una nuova morale”. La voce di Ernesto Paolozzi, inviato del Tg1, era davvero percorsa da paura ed emozione, aveva assistito all’attentato, aveva visto tramortire l’algerino e soprattutto aveva visto cadere il Presidente, sanguinante e addormentato. “Se un uomo così perde coscienza, il paese è smarrito”, ecco questa era la frase da dire, al prossimo collegamento. Gli hanno chiesto di rimanere sul luogo dell’attentato con l’operatore, e lui ha dalla sua il tettuccio dell’auto schizzato di sangue, ma non sa se annunciare al direttore di avere quelle immagini, o tenerle per il dopo. Trema, Paolozzi, e anche l’operatore, Ernesto Rossi, bianco in viso, fuma voracemente. Lui, in un attimo di adrenalina, gli ha detto: “siamo nella storia”. Ma quello ha alzato le spalle. E allora Paolozzi si è messo a scrivere, non vuole perdere dettagli. Sa che lo shock cancella parti intere di ricordi, e allora scrive freneticamente, e poi salta in piedi, si aggiusta il nodo della cravatta e il bavero della giacca di lino, ogni volta che chiamano il collegamento da studio, praticamente ogni cinque – sette minuti. Continua a leggere

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